Serie: L’Età del Carbonio - Carbonsink per ET.Climate

Conferenza sul clima COP26: a che punto sono i temi che scottano?

20 Ott 2021
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L’Età del Carbonio è una serie mensile prodotta da Carbonsink per esplorare gli scenari della transizione climatica in rapida evoluzione e i temi carbon emergenti nel mondo della politica, dell’economia e della finanza

Le unità di misura più gettonate alla Cop26 di Glasgow? Gradi centigradi, gigatonnellate (di carbonio equivalente) e miliardi di dollari. La più misteriosa? Itmos.

L’atteso summit internazionale è considerato l’appuntamento più importante per la politica sul clima dall’Accordo di Parigi del 2015. Si svolge a novembre (per la precisione, dal 31 ottobre al 12 novembre), dopo un anno di sospensione, con una lunga lista di obiettivi e nodi da sciogliere, in un contesto reso ancora più complesso dalle ricadute globali della pandemia.

La presidenza britannica del summit (accompagnata dalla co-presidenza italiana), ha indicato gli obiettivi chiave per i delegati degli oltre 190 Paesi che si riuniranno a Glasgow:

  1. Net-zero al 2050 e 1.5°C: azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1.5°C. Come? Accelerando il processo di dismissione del carbone, riducendo la deforestazione, accelerando la transizione verso i veicoli elettrici, incoraggiando gli investimenti nell’energia rinnovabile;
  2. Adattamento: adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali, sostenendo i Paesi colpiti dai cambiamenti climatici nel proteggere e ripristinare gli ecosistemi, costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per contrastare la perdita di abitazioni, mezzi di sussistenza e di vite umane;
  3. Finanza climatica: mantenere la promessa, fatta nel 2009 dai Paesi più ricchi, di destinare almeno 100 miliardi all’anno – a partire dal 2020 – all’azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo, più vulnerabili agli impatti del riscaldamento globale.
  4. Paris Rulebook: collaborare, completando il “Libro delle Regole” di Parigi (il “Paris Rulebook”), ovvero le regole dettagliate necessarie per rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi, e rafforzando la collaborazione tra governi, imprese e società civile.

 

Il primo obiettivo è stato riassunto dal premier britannico Boris Johnson come «Coal, cars, cash, and trees», mentre il Presidente della Cop26 Alok Sharma ha sottolineato la priorità di «consegnare il carbone alla storia». Le Nazioni Unite hanno aggiornato l’analisi dei piani nazionali per realizzare gli obiettivi di Parigi (in gergo Ndcs, Nationally Determined Contributions): nonostante ci siano segnali positivi di maggiore dinamismo da parte dei governi, l’effetto aggregato è ancora lontano dal garantire che la soglia di sicurezza di 1.5°C non venga superata nei prossimi decenni. Secondo le ultime stime Unfccc, gli impegni attuali, se realizzati, porterebbero la crescita delle emissioni globali ad appiattirsi intorno a 50 gigatonnellate all’anno di Co2 e probabilmente prima del 2030 (50 gigatonnellate equivalgono a 50 miliardi di tonnellate). Questo corrisponde a un aumento della temperatura di 2.7°C previsto per la fine del secolo. È un miglioramento importante rispetto alla situazione di anche solo un anno fa, ma a Glasgow è fondamentale aumentare l’ambizione. Senza profonde riduzioni delle emissioni di Co2 e di altri gas serra, l’obiettivo di raggiungere emissioni nette zero al 2050 rischia di essere impraticabile e i limiti di 1.5°C e 2°C verranno superati nel corso di questo secolo, dice l’ultimo rapporto del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Ipcc). Adattamento significa gestire il rischio climatico in maniera efficace, prevenendo e riducendo gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, considerando anche gli aspetti sociali ed economici delle azioni messe in campo. Alla Cop26 i delegati devono concordare su strategie e più fondi per migliorare i sistemi di allerta e le difese contro gli eventi meteo estremi, per costruire infrastrutture e sostenere produzioni agricole climate-smart, proteggere e ripristinare gli habitat naturali vitali per aumentare la resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici. Tutti i Paesi dovrebbero produrre una “Comunicazione sull’adattamento” che riassuma le iniziative in corso e i piani futuri, le sfide e le esigenze.

La finanza climatica è un tema determinante negli sviluppi della politica globale sul clima. Da oltre dieci anni i Paesi più poveri, e in particolare quelli più vulnerabili ed esposti, chiedono maggiori aiuti promessi dai Paesi più ricchi. Secondo gli ultimi dati Oecd, mancano ancora 20 miliardi all’appello per mantenere la promessa di 100 miliardi all’anno in finanza climatica fatta alla Cop15 nel 2009 (Copenhagen) e formalizzata l’anno dopo alla Cop16 (Cancun). Nel 2015, al summit che ha visto l’approvazione dell’Accordo di Parigi, i Paesi industrializzati hanno ribadito la promessa, impegnandosi a stanziare finanziamenti ancora più consistenti a partire dal 2025. «Non ci sono scuse – ha chiarito Alok Sharma – portare a termine l’obiettivo di 100 miliardi è una questione di fiducia».

Il quarto obiettivo (completare il Paris Rulebook) è il più tecnico e meno conosciuto dai non addetti ai lavori, ma fondamentale per rendere operativo l’Accordo di Parigi. Nonostante sia entrato in vigore nel 2016, l’accordo globale infatti non può entrare pienamente in azione senza un “manuale d’uso” di regole condivise che i Paesi si impegnano a seguire, per presentare i piani d’azione e metterli in atto, in modo da raggiungere collettivamente gli obiettivi climatici di lungo periodo. Le ultime regole in sospeso riguardano l’Articolo 6, che stabilisce come i Paesi possono ridurre le proprie emissioni utilizzando i mercati internazionali del carbonio e approcci non di mercato (una versione evoluta e aggiornata dei meccanismi del Protocollo di Kyoto). La possibilità di cooperare attraverso questi strumenti permetterebbe per esempio ai Paesi che investono in progetti di mitigazione all’estero di contabilizzare le riduzioni per il raggiungimento dei propri obiettivi. Le riduzioni “scambiate” tra i Paesi nel quadro dell’Articolo 6 si chiameranno Itmos, ovvero Internationally Transferred Mitigation Outcomes. I negoziatori lavorano da anni per trovare un terreno comune su cui fondare l’Articolo 6, alla ricerca di un difficile equilibrio tra la necessità di garantire integrità, trasparenza ed efficacia del meccanismo e l’esigenza di sbloccare e utilizzare il flusso di capitale e i trasferimenti di conoscenze e tecnologie che la finanza climatica può garantire.

Oltre ai nodi da sciogliere della Cop26, le difficoltà legate agli impatti della pandemia nel mondo, le diseguaglianze nell’accesso e nella distribuzione dei vaccini, rendono i negoziati ancora più delicati.

La posta in gioco e le aspettative non sono mai state così alte. «Senza un’azione decisiva, stiamo scommettendo sulla nostra ultima possibilità di, letteralmente, invertire la tendenza”, ha dichiarato il Segretario Generale delle Nazione Unite Antonio Guterres.

Aurora D’Aprile (Carbonsink)

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