Serie: L’Età del Carbonio - Carbonsink per ET.Climate
Clima: gli obiettivi di Cop26 prima e dopo il vertice di Glasgow
Luci e ombre, successo o fallimento, il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. A seconda della prospettiva da cui si valutano i risultati, la Cop26 ottiene voti diversi. Una delle sintesi più efficaci è quella del Financial Times: «more than expected but less than hoped».
Sicuramente la Cop26 è stata la conferenza sul clima più seguita e partecipata degli ultimi anni (nonostante le difficoltà legate alla pandemia), forse di sempre, con aggiornamenti quotidiani sui media italiani e internazionali. Cosa è successo? Com’è andata? Facciamo un riassunto dei risultati principali a partire dagli obiettivi chiave del vertice di Glasgow, di cui si è parlato nella precedente puntata di questa serie. Con tanti link per approfondire.
Obiettivo Net-zero al 2050 e 1.5°C
Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 e puntare a limitare l’aumento delle temperature a 1.5°C. Come? Accelerando il processo di dismissione del carbone, riducendo la deforestazione, accelerando la transizione verso i veicoli elettrici, incoraggiando gli investimenti nell’energia rinnovabile.
Com’è andata a Cop26?
Gli impegni net zero di soggetti pubblici e privati si sono moltiplicati nei giorni precedenti e durante la Cop26. Pochi giorni prima dell’inizio dei lavori, Science Based Target Initiative ha presentato il primo standard net zero per le aziende. L’accelerazione negli impegni ha portato una ventata di ottimismo, soprattutto durante la prima settimana di negoziati. L’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) ha stimato che i nuovi impegni di Cop26 porterebbero le emissioni globali sulla traiettoria di 1.8°C al 2050 «if met in full and on time». L’analisi di Climate Action Tracker ha invece messo in evidenza il gap tra gli impegni a lungo termine e quelli più immediati, al 2030, che rimangono «totally inadequate» e in linea con l’aumento della temperatura media globale di 2.4°C rispetto ai livelli preindustriali.
Con la dichiarazione finale di Cop26 (il Patto per il clima di Glasgow, Glasgow Climate Pact), tutte le nazioni hanno promesso di formulare e pubblicare impegni aggiornati e il più possibile allineati a 1.5°C entro un anno, prima dell’inizio della Cop27 (che si svolgerà in Egitto).
Per la prima volta nella storia dei negoziati Unfccc, il testo finale menziona i combustibili fossili, affermando che l’energia dal carbone «unabated» deve essere gradualmente ridotta e che i «sussidi inefficienti» per tutti i combustibili fossili devono essere rimossi. Non sono indicate date specifiche e il linguaggio é stato progressivamente ammorbidito nel corso delle negoziazioni (soprattutto su pressione di India e Cina) ma ciononostante è un passaggio storico.
C’è anche, per la prima volta, un riconoscimento della necessità di una “giusta transizione” e, ancora per la prima volta, viene menzionato il metano: le nazioni sono “invitate” a ridurre le emissioni di metano in questo decennio. Più di 100 Paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, aderendo al Global Methane Pledge annunciato a Glasgow. Impegni e piani d’azione sono stati annunciati anche per proteggere le foreste e gli ecosistemi, stanziando risorse finanziarie per contrastare la deforestazione, e accelerare la transizione verso veicoli «a zero emissioni».
Obiettivo Adattamento
Adattarsi per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali, sostenendo i Paesi colpiti dai cambiamenti climatici nel proteggere e ripristinare gli ecosistemi, costruire difese, sistemi di allerta, infrastrutture e agricolture più resilienti per contrastare la perdita di abitazioni, mezzi di sussistenza e di vite umane.
Com’è andata a Cop26?
A Glasgow gli Stati hanno concordato un piano biennale per definire un «obiettivo globale sull’adattamento», incluso nell’Accordo di Parigi del 2015 ma rimasto finora ancora vago. Qualche passo in avanti è stato fatto anche sul piano della finanza per l’adattamento (v. Obiettivo Finanza climatica).
Grande delusione per i Paesi più poveri ed esposti ai rischi dei cambiamenti climatici, che chiedono da anni aiuti economici e sostegno per far fronte a perdite e danni (Loss& Damage).
Le nazioni più ricche si sono opposte alla creazione di un fondo ad hoc. Nella dichiarazione finale i Paesi riconoscono che i cambiamenti climatici hanno già causato perdite e danni e che è necessario aumentare gli aiuti. Loss& Damage rimane uno dei temi più combattuti e tornerà nell’agenda di Cop27 l’anno prossimo.
Obiettivo Finanza climatica
Mantenere la promessa, fatta nel 2009 dai Paesi più ricchi, di destinare almeno 100 miliardi all’anno, a partire dal 2020, all’azione per il clima nei Paesi in via di sviluppo, più vulnerabili agli impatti del riscaldamento globale.
Com’è andata a Cop26?
La promessa non è stata mantenuta. I Paesi più ricchi finora hanno messo a disposizione solo 80 dei 100 miliardi promessi e secondo le previsioni attuali l’obiettivo annuale non verrà raggiunto prima del 2023.
Qualche passo in avanti è stato fatto sul piano della finanza per l’adattamento, che ad oggi rappresenta solo un quarto dei finanziamenti internazionali per il clima verso le nazioni in via di sviluppo.
Il patto di Glasgow ha esortato i Paesi industrializzati ad aumentare «urgentemente e in modo significativo» i finanziamenti per l’adattamento e a raddoppiarli rispetto ai livelli del 2019 entro il 2025. Gli importi promessi rimangono comunque al di sotto dei 70 miliardi di dollari annuali ritenuti necessari già oggi per i Paesi in via di sviluppo per far fronte agli impatti climatici. Cifra che potrebbe salire a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, secondo le Nazioni Unite.
Obiettivo Paris Rulebook
Collaborare, completando il “Libro delle Regole” di Parigi (il “Paris Rulebook”), ovvero le regole dettagliate necessarie per rendere pienamente operativo l’Accordo di Parigi, e rafforzando la collaborazione tra governi, imprese e società civile.
Com’è andata a Cop26?
Passato un po’ in secondo piano, anche a causa delle tematiche più tecniche e complesse, l’obiettivo di completare il Paris Rulebook è quello che ha visto i progressi più tangibili. Il manuale operativo dell’Accordo di Parigi è finalmente completo, dopo 6 anni di trattative. Un risultato molto atteso, ma non scontato. Sono state messe a punto le regole per gestire i meccanismi di trasparenza e comunicazione degli impegni nazionali (Ndc, Nationally Determined Contributions) e gli scambi internazionali di emissioni (Articolo 6).
Il pacchetto trasparenza è fondamentale per fare sì che tutti i Paesi comunichino i propri obiettivi e percorsi di decarbonizzazione in modo chiaro, coerente e comparabile.
Per esempio, con il framework adottato a Glasgow tutti gli Stati dovranno, a partire dal 2024, comunicare le emissioni, i progressi verso i propri impegni climatici di mitigazione e di adattamento e i contributi ai finanziamenti per il clima, almeno ogni due anni. Tutte le comunicazioni saranno soggette a revisione, sia da parte di esperti che multilaterale. Questa è una novità rispetto al framework precedente, in cui erano in vigore requisiti diversi per i Paesi più industrializzati e per quelli in via di sviluppo. A partire dal 2025, tutti gli Stati dovranno avere un piano decennale di riduzione delle emissioni e delle misure di adattamento, da aggiornare periodicamente ogni cinque anni (auspicabilmente, con obiettivi sempre più ambiziosi).
L’intesa ottenuta sull’Articolo 6 e sui mercati del carbonio rende possibile la cooperazione tra Stati per ridurre le emissioni in modo più efficiente a livello globale, attraverso lo scambio regolamentato di Itmos (Internationally Transferred Mitigation Outcomes). L’Articolo 6 è anche lo strumento, all’interno dell’Accordo di Parigi, che promuove investimenti e aiuti per lo sviluppo low carbon tra Paesi.
L’accordo finale ha risolto lo stallo sui paragrafi che riguardano gli scambi tra due o più Paesi e il sistema centralizzato che va a sostituire il meccanismo del Protocollo di Kyoto (Cdm, Clean Development Mechanism). Tra i risultati e i compromessi principali ci sono: nuove regole per evitare che le riduzioni di emissioni vengano conteggiate due volte, sia dal Paese che le “produce” che dal Paese che le acquista (meccanismo che va sotto il nome di Corresponding Adjustment); la possibilità per gli Stati di utilizzare temporaneamente nel sistema di Parigi una certa quota dei crediti Cdm ereditati dal sistema di Kyoto (valida solo per crediti generati dal 2013 in poi e solo nella rendicontazione del primo Ndc). Inoltre, una percentuale (5%) dei proventi ottenuti dallo scambio di emissioni viene usato per finanziare progetti di adattamento nei Paesi più vulnerabili.
Molti ancora i dettagli operativi da definire sul funzionamento dei nuovi mercati del carbonio internazionali, ma senza dubbio il risultato ottenuto a Glasgow sull’Articolo 6 ha completato un tassello importante per rendere operativo l’Accordo di Parigi. Ha anche dato un segnale al mondo della finanza e delle imprese. A livello globale, la gestione delle emissioni ha ora un quadro di riferimento più definito, che sarà sempre più standardizzato e rilevante anche per investitori e aziende. Segnale che i mercati hanno colto subito: il mercato Eu Ets ha segnato il massimo storico nel lunedì dopo Cop26, arrivando per la prima volta oltre 66 euro per tonnellata, mentre il trend al rialzo si consolidava anche sui mercati volontari di crediti certificati.
Aurora D’Aprile (Carbonsink)
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