i dati eurosif confermano la "seconda" fase dello Sri italiano

Verso il 2019, l’anno del greenwashing

10 Dic 2018
Editoriali SRI Finance Commenta Invia ad un amico
Il Salone del risparmio sdogana completamente la finanza responsabile in Italia. Per contro, il mercato nazionale sconta il proprio ritardo: l'integrazione Esg è ancora sovrastata dall'esclusione

Sono settimane di segnali forti per la finanza e l’economia sostenibili e responsabili. Segnali che lasciano intravedere come, nel 2019, inizierà una nuova fase, probabilmente la più complessa: quella della battaglia al greenwashing.

Il messaggio più acuto ed evidente è arrivato da Assogestioni il 6 dicembre. Una data che segna il definitivo sdoganamento dello Sri (socially responsible investing) come tema mainstream anche in Italia. La scorsa settimana, infatti, l’associazione del risparmio gestito italiano ha definito quale sarà la tematica e il titolo del prossimo Salone del risparmio. E la scelta lascia pochi spazi ai dubbi: “Sostenibile, responsabile, inclusivo. La frontiera del risparmio gestito”

Insomma, la finanza Sri colorerà il principale appuntamento dei gestori italiani.

Di fronte a un tale impeto del nuovo paradigma, la domanda che in tanti si pongono è: adesso che siamo tutti Sri, cosa succede?

In realtà, adesso comincia la vera partita, quella del confronto tra player, standard, prodotti e strategie. I segnali di quanto la sfida sarà dura sono già tangibili.

CONSOLIDAMENTO TRA PROVIDER ESG

Più o meno negli stessi momenti in cui Assogestioni “apriva” il campo di gioco italiano, veniva annunciata una partnership tra Ftse e Sustainalytics per il lancio di nuove tipologie di indici Esg. Il significato è molteplice. Innanzi tutto, evidenzia la consapevolezza del bisogno di prodotti complessi, nonché in evoluzione rispetto alle precedenti metodologie. Per contro, indica la necessità di un consolidamento per assicurarsi spazi di mercato in un ambito che ha visto esplodere non solo la domanda, bensì anche l’offerta. Si stanno moltiplicando i provider, più o meno improvvisati, di rating e di indici Esg, e addirittura si profila la pericolosa tentazione di improvvisarsi cultori della materia, facendosi il ranking in casa.

L’IMPLICITA INESATTEZZA

Parlare di indici e rating Esg non è semplice. Ancor meno semplice è produrli in maniera coerente e credibile. Qualche settimana fa, in occasione di un incontro a Parigi, Sonia Fasolo, fund manager di La Financiere de l’Echiquer, ha presentato un’analisi, partendo da una serie di studi del 2015, che conferma l’elevata correlazione positiva tra rating Esg e performance. Ma l’aspetto più interessante è che questa correlazione, estremamente solida se si considerano i singoli fattori “e”, “s”, e “g”, si riduce quando i tre parametri sono considerati contemporaneamente. Insomma, la performance sembra rispondere in modo più chiaro ai giudizi di qualità singola (ambientale, sociale e di governance), piuttosto che ai giudizi di sintesi (vedi tabella). Segno, ha spiegato l’analista, che le scelte fatte in base ai rating aggregati Esg perdono efficacia, in quanto, in un “minestrone” Esg, resta ancora facile (rispetto ai rating specifici) far rientrare anche asset non “consistent”.

 

Insomma, ci sono margini notevoli di miglioramento sul fronte dell’analisi.

Spazi “vuoti” che si traducono in un’enorme libertà di movimento. Ovvero, il mercato sta esplodendo di entusiasmo e di esperienze, ma non sempre ha gli strumenti per comprendere a pieno la veridicità del gestore, del prodotto, delle strategie e, finanche, degli asset sottostanti.

L’ADOLESCENZA ITALIANA

In questa fase di adolescenza Sri, l’Italia è il mercato più giovane di tutti. Quello con meno strumenti di consapevolezza. Quello dove l’illusione Esg trova facilmente terreno per attecchire, nell’offerta e nella domanda, a prescindere dalla qualità sostenibile dell’asset.

A confermare questa fase di greenwashing italiano sono gli stessi dati di Eurosif sul 2017, diffusi un paio di settimane fa.

Dal confronto con l’Europa risulta evidente il differente grado di maturità del mercato nazionale. La finanza responsabile continentale ha ingranato la marcia (+60% rispetto alla precedente rilevazione del 2015) dell’integrazione degli Esg nelle scelte di investimento, ovvero ha adottato la strategia più completa e più complessa, a fronte di una retromarcia nelle scelte a “esclusione”, ovvero la strategia più semplice da adottare e più adattabile ai prodotti pre-esistenti (trasformabili in Sri togliendo una qualche categoria sensibile: oil, tabacco, alcol o pornografia).

Parecchio differente la situazione italiana. I player di casa nostra hanno, sì, aumentato gli asset in gestione soggetti a “integrazione Esg”, ma con un passo dimezzato (+30%) rispetto all’Europa. Soprattutto, l’Italia è ancora terra di facile conquista Esg a colpi di esclusione: le masse gestite con questa forma “d’ingresso’ di finanza responsabile sono cresciute del 150%, e rappresentano la stragrande maggioranza degli asset Sri.

La lunghezza della barra orizzontale dell’istogramma dell’esclusione, è la miglior rappresentazione di quanto alto dev’essere l’allarme 2019 contro il greenwashing.

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