tanti (ci) chiedono gli effetti del piano "armato"

ReArm oltre gli Esg. E oltre l’Europa

17 Mar 2025
Editoriali Companies & CSR Commenta Invia ad un amico
Sono state molteplici le sollecitazioni ricevute su come i piani Ue si possono connettere con gli Esg. L'idea è che lo saranno, ma danneggiando l'idea sostenibile. E anche i veri asset competitivi europei

«D’Alema, di’ una cosa di sinistra». Nelle riflessioni di questi giorni sulla situazione europea, viene in mente questa celebre battuta di un film italiano di fine anni Novanta. In particolare, perché viene assai difficile trovare risposte convincenti alle domande che hanno coinvolto la redazione di ETicaNews nelle ultime due settimane, su come si possa allineare agli Esg il nuovo corso economico-industriale annunciato dalla Commissione europea, nello specifico con il piano ReArm. Le questioni geopolitiche e militari sono, chiaramente, un argomento “divisivo” (parola quanto mai in voga, in questi tempi) che questa non è la sede per affrontare. Ma è possibile riflettere sulle connessioni (o meglio, le disconnessioni) che i messaggi di Bruxelles creano nei confronti della sostenibilità. E, di conseguenza, e ancor peggio in senso generale, nei confronti dell’economia europea.

L’IPOCRISIA SUGLI ESG

L’idea di riarmo europeo, da parte della Commissione, è stata concepita da mesi, ed è senz’altro uno dei fattori che ha contribuito a raffreddare l’entusiasmo Esg nelle camere di comando di Bruxelles. Già a novembre dello scorso anno la DG Defis (Defence Industry and Space) era uscita allo scoperto nell’albito dell’Eu Defence Industrial Investment Forum, con il messaggio rilanciato sui social: “There is no sustainability without security“. Con tanto di germoglio verde accanto a uno scudo d’acciaio.

La pressione del sistema è ormai tale che la, scorsa settimana, la Fca, ovvero la Consob britannica, ha dovuto fare una sorta di pubblica postulatio: con un comunicato ha spiegato che non c’è nulla, nelle proprie regole, che impedisca di finanziare le aziende della difesa.

Occorreva chiarirlo? Le regole attuali, quelle britanniche o europee o di altre aree del mondo, non bloccano gli investimenti nei titoli delle armi. La scelta del gestore resta libera. Il punto di discontinuità è nella trasparenza: se vuoi investire in armi, sei liberissimo di farlo; ma se vuoi anche essere trasparente, non puoi farti chiamare “sostenibile”. Quanto meno, non nell’accezione attuale del concetto di “sostenibilità”.

Ecco perché l’ambizione, appunto, è quella di rendere gli investimenti nella Difesa un qualcosa di Esg. Da un lato, la cosa farebbe dannatamente comodo alle istituzioni nel momento in cui si devono attivare risorse per il riarmo. Dall’altro, la cosa farebbe altrettanto comodo ai gestori in cerca delle performance, visti gli effetti in Borsa della preventivata spesa europea (con ennesimo boom dei titoli militari).

Si vedrà se nel sistema degli investitori istituzionali (quelli che di fatto guidano i gestori) resisterà off limits il principio delle armi, o se cadrà anche quel baluardo. Intanto, in redazione sono arrivate più richieste su come le armi si rapportino (o possano rapportarsi) con gli Esg, che sul tema Omnibus.

QUAL È IL VERO ASSET DELL’EUROPA?

La precedente riflessione sugli impatti di ReArm sugli Esg si connette poi al tema della competitività europea. Se, con la presentazione di Omnibus, la Commissione aveva già segnato un grave autogol dimenticando la valenza degli Esg come fattore competitivo dell’universo delle pmi europee (vedi l’articolo De Omnibus. Ma non certo “de finibus”), con il programma sulla Difesa, Bruxelles sembra anche aver peggiorato le cose.

Infatti, appare improbabile immaginare che questo mega piano di investimenti militari, quanto meno per la parte minoritaria che resterà alle industrie continentali, andrà a sostenere ambiti in cui l’Europa è in grado di essere leader nel futuro.

Viceversa, è pressoché certo che saranno tolte risorse proprio alla sua identità più competitiva: il modello sociale. L’ha messo in evidenza, in modo quasi stridente (anche per la tempistica), la Banca europea per gli investimenti, nel suo Investment Report 2024/25 (scarica l’executive summary). Infatti, nell’analisi emergono richiami ad aspetti oggi non certo mainstream nella narrativa dell’Unione europea. «Spesso dato per scontato – si legge nel documento -, il modello sociale inclusivo dell’Europa è uno dei suoi punti di forza. […] In questo contesto, la continuità degli investimenti sociali è fondamentale, in quanto aiuta le persone a sviluppare le competenze e incoraggia la partecipazione alla forza lavoro e la mobilità del lavoro». Un messaggio non certo comodo, anche perché sviluppato in un ampio studio nel quale viene assegnata altrettanta evidenza alla questione della leadership sostenibile guadagnata dall’Europa.

Insomma, ecco perché viene in mente la citazione iniziale. La quale ben rappresenta la difficoltà di interpretazione di una entità che sembra muoversi in modo incoerente con ciò che pareva la sua natura e il suo indirizzo. Peraltro, la seconda parte di quella frase è meno ricordata, ma forse anche più significativa: «Di’ una cosa anche non di sinistra, ma di civiltà».

Ecco, oggi all’Europa si può chiedere di tornare a dire una cosa di Esg. Ma, forse, anche, semplicemente, una cosa di europeo.

 

 

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