“Sul rating di legalità i conti non tornano”. L’analisi è stata pubblicata da lavoce.info, con un articolo firmato Vitalba Azzollini, e non ha risparmiato critiche all’istituto gestito dall’Antitrust. Nonostante i toni enfatici con cui la scorsa settimana è stato presentato il numero di aziende richiedenti, l’articolo di lavoce.info definisce «esigua» tale adesione.
Le motivazioni di tale scarso entusiasmo, secondo l’analisi, va ricercato nello scarso effetto premiante: il lancio del rating ha coinciso con una fase di forte contrazione di finanziamenti e bandi, per l’accesso ai quali l’istituto era stato immaginato come facilitatore.
Ma c’è un altro problema. Ossia la sovrapposizione del rating con altre misure di controllo dei mandati pubblici (le “white list prefettizie” e il “protocollo di legalità”). Un «affastellamento di mezzi volti a contrastare l’illegalità e, al contempo, a valorizzare le imprese estranee ha determinato una sorta di burocrazia degli adempimenti». Inoltre, scrive l’autrice, «una paventata incompatibilità della disposizione con la direttiva comunitaria in materia (2014/24/UE) ha indotto a rinunciarvi».
«Le cause della scarso successo del rating – conclude l’autrice – appaiono ora più chiare: se i concreti vantaggi derivanti da una gestione imprenditoriale virtuosa si attenuano per motivi contingenti e non vengono altrimenti implementati, mentre gli oneri si sovrappongono ad altri finalizzati ad acquisire eventuali benefici diversi, all’operatore economico non tornano i conti. La quantità dei mezzi non garantisce la qualità dei risultati: tra un certo stato di diritto e lo stato confusionale il passo è breve».
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