PG&E, un leader Esg può fallire se manca la governance Esg
Gli Esg non sono il parafulmine per tutto, nemmeno per i rischi ambientali, se non sono pienamente integrati nella governance. Il caso della utility californiana PG&E, raccontato in un blog scritto da Gilbert Hedstrom per la National Association of Corporate Directors è piuttosto emblematico di come, anche per chi è in prima fila nel rispetto dei fattori environmental, social e governance, possa non esserci scampo in situazioni imprevedibili.
A fine gennaio, la società PG&E è finita in bancarotta per i danni causati dal gigantesco incendio del dicembre 2018 in California. L’evento si stima abbia creato in capo alla società debiti per 30 miliardi di dollari.
Il paradosso è che la PG&E era considerata più che in ordine dal punto di vista Esg. Una sorta di eccellenza, secondo le agenzie di rating esterne. Nel blog viene evidenziato come Sustainalytics avesse assegnato un giudizio “outperformer”; come PG&E fosse la numero #1 tra le utilities e la #22 tra tutte nel Corporate Responsibility Magazine’s 100 Best Corporate Citizens; come NewsweekGreen Rankings l’avesse ritenuta la numero #1 tra le electric & gas utilities e la numero #4 in assoluto; come PG&E sia stata nominata nel the Dow Jones Sustainability North America Index per otto volte.
Eppure, scrive Hedstrom, alla fine sono spuntati 30 miliardi di debiti causati dall’incendio. Dove le cose non hanno funzionato?
Secondo l’autore il discorso si lega al fatto che gli Esg da soli non bastano, anche perché appena il 20% del meccanismo a essi correlato è percepibile dall’esterno dell’azienda. Ciò che è necessario prima di tutto, conclude l’autore, è creare in azienda un «robusto sistema di governance degli Esg».
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