analisi di World Benchmarking Alliance
Le aziende food non digeriscono gli Sdgs
Nonostante la sua centralità e rilevanza nel fronteggiare le sfide più complesse, dalla fame nel mondo al cambiamento climatico, il settore agroalimentare non collabora e non progredisce nel percorso verso il raggiungimento dei Sustainable Development Goals (Sdgs). Lo rivela il World Benchmarking Alliance nel suo primo benchmark sul settore agroalimentare, 2021 Food and Agriculture Benchmark, che misura gli sforzi di 350 tra le più influenti aziende globali del settore sul loro contributo agli Sdgs.
Nata nel 2018 con lo scopo di fornire supporto e guida al settore privato nel percorso di allineamento ai target Onu, il World Benchmarking Alliance (Wba) si occupa di elaborare benchmark, come il “Corporate Human Rights benchmark” e l’”Access to Seeds benchmark”, analizzando le società secondo metodologie proprietarie che si basano su consultazioni con gli stakeholder. Nel nuovo benchmark sul settore agroalimentare, 350 aziende vengono analizzate «dal campo alla forchetta» su 45 indicatori che includono strategia e governance, ambiente, nutrizione e inclusione sociale. Le aziende parte del panel contribuiscono a più della metà delle revenue mondiale del settore agroalimentare e impiegano oltre 23 milioni di dipendenti. L’analisi avviene sulle informazioni disponibili pubblicamente da parte delle aziende (bilanci annuali, di sostenibilità, Csr e integrati) che possono poi essere integrate da informazioni aggiuntive fornite dalle aziende che decidono di partecipare al questionario online previsto dal Wba.
I risultati del benchmark non sono confortanti: il settore agroalimentare non è sulla strada giusta per permettere e coadiuvare la transizione ad un sistema di produzione del cibo che sia sostenibile. Dal benchmark emerge che, nonostante la pressione sul settore agroalimentare sia in crescita, la maggior parte delle aziende continua a riproporre il business as usual e non contribuisce quanto dovrebbe al raggiungimento degli Sdgs.
Sul podio, Unilever riceve l’oro piazzandosi prima con un punteggio globale di 71.7/100, subito seguita da Nestlé (68.5/100) e Danone (63.6/100). Tuttavia, su un punteggio massimo di 100 punti, solo 34 aziende si posizionano nella fascia di risultato più alta, con uno score superiore a 40/100. 87 aziende seguono in una fascia di score compresa tra 25 e 40 punti su 100, ma la maggior parte delle aziende analizzata riceve punteggi molto bassi, con 119 aziende che raggiungono uno score compreso tra 10 e 25 e ben 100 aziende che raggiungono uno score inferiore a 10/100.
LE ITALIANE
Tra le aziende italiane incluse nel benchmark, nessuna si posiziona nella fascia di punteggio più alta. La prima è Ferrero che riesce a posizionarsi 43a, con un punteggio di 38.7/100. Le altre italiane: Autogrill 204a – 14.8/100, Barilla 94a – 28.6/100, Conad 319a – 0/100, Gruppo Cremonini 268a – 6.4/100, Gruppo Veronesi 243a – 9.6/100, Perfetti Van Melle 284a – 4.9/100, Sdf group 297a – 2.6/100.
MALE LA QUESTIONE “S”
Dal benchmark emerge inoltre che meno del 10% del panel analizzato risulta avere un meccanismo di due diligence sul rispetto dei diritti umani, e la maggior parte di queste aziende non fa abbastanza per combattere lavoro minorile e forzato nelle proprie operazioni e lungo le filiere. Alla luce di risultati negativi sulle tematiche sociali analizzate, il benchmark enfatizza la necessità per le aziende agroalimentari di fare di più e meglio, assicurando mezzi di sostentamento adeguati e condizioni di lavoro dignitose a tutti gli attori coinvolti nella loro catena del valore. Anche sul versante ambientale la situazione non appare migliore. Secondo l’analisi, solo 26 aziende tra le analizzate hanno definito target di decarbonizzazione in linea con l’Accordo di Parigi e 189 aziende non sembrano avere obiettivi strutturati contro la deforestazione e la conversione ad altri usi del suolo lungo le catene di fornitura.
Martina Costa
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