Et.people/ 23 intervista a David Calas
L’architetto: «Serve una cultura del costruito sostenibile»
Chi progetta case, edifici, fino ad arrivare a intere città, oggi non può non pensare alle implicazioni sostenibili delle strutture e dei lavori. Così come spiega David Calas, architetto italiano fondatore dello Studio Calas, con sede a Vienna, e docente alla Technical University di Vienna. «Il pensiero empatico verso l’architettura, la città e le persone che ci vivono fa parte di ogni approccio che abbiamo e ogni progetto che affrontiamo. Purtroppo però la parola sostenibilità viene usata in un modo inflazionato, in contesti poco specifici. Si parla spesso di “greenwashing”, ma è una parola che ha un uso a volte troppo “creativo”. La vera sostenibilità per me è il risparmio di energia e risorse tramite una cultura di vita più sobria rispetto a quella che attualmente conduciamo».
La tematica del vivere e lavorare sostenibile coinvolge la sua attività di architetto? Se sì, perché e come? Ci può fare qualche esempio?
Mentre ancora alcuni architetti dello scorso secolo devono puntualizzare di lavorare in modo sostenibile, la sostenibilità è già parte integrante del nostro pensiero di struttura e città. Lavoriamo spesso su installazioni temporanee dove il materiale viene scelto meticolosamente, pensando anche a come potrà esser riutilizzato; quale impatto sociale possa dare una certa struttura e come possa influire positivamente sul pensiero individuale degli utenti che visitano l’installazione. Anche nei nostri lavori di consulting per sviluppi urbani e paesaggistici cerchiamo di offrire un pensiero differente. Per esempio, come l’uso dello spazio pubblico possa cambiare con la digitalizzazione in atto, ponendoci domande su come si useranno i parcheggi quando le auto a guida autonoma arriveranno nelle città. Domande cui cerchiamo di dare risposte che riescano a prevenire problematiche future, senza avere delle sorprese “insostenibili” quando sarà troppo tardi.
Crede che la sostenibilità possa essere un driver per il suo lavoro?
La sostenibilità è “il” driver del nostro lavoro, e mi auguro lo diventi anche per tutti gli altri lavori. Dovrebbe anche essere parte integrativa del nostro stile di vita. Spero che in futuro la ricchezza dello spreco e la ricchezza individuale, che ritengo il motore dell’anti-sostenibilità, diventino una cosa poco “chic” e poco “sexy”.
Pensa che le tematiche sostenibili possano essere un driver per la sua immagine pubblica (pensando soprattutto al mondo social)? Secondo lei come si potrebbe migliorare la visibilità di questi temi?
Sarebbe importante lasciare delle tracce proprie. Ben vengano influencer come Greta Thunberg (la giovane attivista norvegese, ndr). Influencer che sono meno rappresentanti di marche e brand, ma che riescono a sollevare delle domande cui ancora non abbiamo delle risposte. Con il nostro studio, nel nostro piccolo, lo facciamo. Cerchiamo di integrare tematiche sostenibili ovunque abbiamo la possibilità di presentare nostri lavori, integriamo spunti che vedano un futuro adattato all’ambiente sociale e naturale. Insomma, è la massa critica che fa la differenza e crea “awareness-rising”.
Secondo lei gli architetti possono contribuire allo sviluppo di una società più attenta alla sostenibilità? In che modo?
Assolutamente sì. Siamo responsabili per l’ambiente costruito che ci circonda e la qualità della vita privata e pubblica. L’architettura dovrebbe unire, ripulire l’aria delle nostre città e renderle più vivibili. Desideri che contrappongono un’architettura soggetta a speculazione e investimento, che risparmia nella qualità, ottimizzando il tasso di rendimento finale per poche persone. Ci sono abbastanza esempi d’architettura sostenibile, basta guardarsi intorno. Purtroppo progetti contemporanei, specialmente in Italia, se ne vedono pochi. Resi possibili da investitori lungimiranti, amministrazioni pubbliche che pensano oltre la propria legislatura ed esperti del campo che sono disposti a fallire, pur di integrare aspetti innovativi e sostenibili. Manca generalmente quella “cultura del costruito sostenibile” che nei secoli precedenti dominava l’aspetto dei nostri borghi e città, un tempo dipendenti da aspetti naturali e ambientali. Con l’aumento della prosperità della società si è sviluppata un’architettura estranea all’ambiente che la circonda. Serve invece una cultura del costruito che venga apprezzata e capita da società, politica, investitori.
I temi sostenibili stanno entrando o sono già presenti nella sua quotidianità privata?
Sembra facile, non lo è, ma vale la pena provarci. Per esempio avendo un pensiero critico, mettendoci un po’ di impegno, facendo diminuire la voglia di lavorare solo per soldi ma anche per lasciare un impatto positivo, preferire la bici e i servizi pubblici, avere un’alimentazione equilibrata e variegata.
Cecilia Mussi
ET.people