et.people/ 16 intervista a Don Gaetano Galia
Il don: «Senza sostenibilità, inutile venire a messa»
La sostenibilità come forma di «autoresponsabilizzazione economica e sociale». Un passaggio che va dalla crescita personale e umana alla responsabilità nei confronti della società e dell’ambiente. Lo sa bene Don Gaetano Galia, sacerdote salesiano, che vive e lavora a Sassari, dove si occupa di cooperative sociali e assistenziali per giovani ed ex detenuti, oltre a essere il cappellano del carcere del capoluogo di provincia sardo. «I ragazzi che fanno parte delle associazioni che coordino imparano un mestiere ma, al contempo, anche piccoli gesti di giusta convivenza – commenta Galia -, come fare la raccolta differenziata, usare l’acqua della rete idrica (come facciamo nelle diverse sedi) e non quella in bottiglia. Inoltre lavorano e studiano in strutture alimentate con le energie alternative, come il fotovoltaico. Un segno dell’impegno verso l’ambiente e verso la comunità, che vogliamo trasmettere a tutti».
La tematica del vivere e lavorare sostenibile coinvolge la sua attività?
La sostenibilità è un tema molto discusso ultimamente. Ma da tempo uno dei nostri obiettivi, nelle cooperative, è quello di essere autostostenibili e rendere tali anche i ragazzi che seguiamo. In Sardegna, purtroppo, negli ultimi anni abbiamo meno risorse da spendere per progetti che riguardino anche la sostenibilità, ma cerchiamo di fare il meglio con quello che abbiamo. Alcuni dei nostri ragazzi, ad esempio, curano il verde dei condomini, mentre degli ex detenuti imparano a coltivare i terreni. Un modo per essere reinseriti nel mondo del lavoro. Per quanto riguarda il carcere, tuttavia, si guarda molto alla sicurezza ma poco al rapporto sociale con le persone che ci vivono, alla progettualità che sta dietro al loro recupero, spazi in cui si potrebbero inserire le tematiche sostenibili. Mancano anche i volontari in questo senso, e penso che si potrebbe fare di più per introdurre l’attenzione a queste tematiche, anche nel lavoro di recupero e accompagnamento delle persone.
Secondo lei la sostenibilità è diventata un driver nel suo lavoro?
È fondamentale per tutti gli imprenditori locali e per chi lavora nella cooperazione, perché consente di valorizzare al meglio le proprie risorse. E per fare in modo che una persona si autosostenga nel modo più corretto verso la comunità e verso l’ambiente. Ne ha parlato anche il Papa nella sua enciclica “Laudato Sii”, dove ha voluto suonare un campanello d’allarme a tutto il mondo: l’ambiente è stato sfruttato troppo dall’uomo, e questo sfruttamento eccessivo ora rischia di diventare un boomerang contro di noi. Per rendere più semplice l’enciclica, direi che “è inutile venire a messa se poi non si fa la differenziata”. I cristiani dovrebbero essere i primi, per coerenza spirituale, a essere attenti alla sostenibilità.
I sacerdoti potrebbero contribuire a rendere più conosciuti i temi sostenibili?
Nei seminari se ne parla poco, manca un po’ di cultura in questo senso. Cultura che invece trovo nei bambini. Forse nella scuola più che nella chiesa si sta facendo molto per diffondere la conoscenza dei temi e delle problematiche ambientali. Come salesiano ritengo che in particolare la scuola dovrebbe avere questo ruolo di educatore anche sui temi sostenibili. D’altronde è più complesso far cambiare abitudini agli adulti, invece i bambini imparano in fretta, si adattano a comportamenti positivi che poi restano nel loro modo di rapportarsi al mondo e alla società. Ma esistono anche altri modi per diffondere la cultura della sostenibilità. Nel mio piccolo utilizzo i canali social per raggiungere i giovani. È un ambito in cui, però, occorre agire con attenzione e intelligenza.
Cecilia Mussi
ET.people