Salone dello Sri. Conferenza sui dati Aipb
I clienti private? Vogliono approccio Esg
I clienti private si avvicinano al mondo degli investimenti sostenibili. Non lo fanno ancora in massa e, a volte, sono vittime di errori di comunicazione e pregiudizi che in qualche caso avvolgono il mondo Sri, ma il trend è sempre più evidente. Così come è sempre più chiara la presa di coscienza da parte del mondo private che, attraverso l’inserimento di fattori Esg nella costruzione del portafoglio, è possibile contenere anche rischi di performance, oltre a sostenere la costruzione di una società e un ambiente migliori.
È questo, in estrema sintesi, quel che è emerso dall’incontro “Sri e private banking” che si è tenuto giovedì 8 novembre al Salone dello Sri organizzato da ETicaNews. Un evento a cui hanno partecipato Antonella Massari, segretaria generale dell’Associazione italiana private banking (Aipb); Giuliana Fabbricotti, coordinatrice AWA Institutional – Consulenza evoluta private Ubi Top Private; Antonio Penzo, responsabile Marketing Bnp Paribas Asset Management; Giampaolo Giannelli, Director, Regional Sales, Italy, Institutional & Intermediary BMO Global Asset Management.
IL PROFILO DEI PRIVATE CLIENT
Attraverso 650 interviste one-to-one, l’Aipb ha scattato una fotografia dei private client che è stata presentata in apertura dell’incontro da Massari. Quel che emerge da questo studio è che «la ricchezza in Italia è abbastanza diffusa, meno polarizzata rispetto ad altri Paesi». Guardando ai numeri, infatti, si scopre che il 39% delle famiglie clienti del private banking si trova in una fascia di ricchezza compresa tra 1 e 5 milioni di euro e che, sommando questa cifra a chi detiene tra mezzo milione e un milione di euro si arriva al 55% del totale.
La seconda caratteristica, per dirla ancora con Massari, è che «in Italia c’è più ricchezza “da stock”, meno da flussi, rispetto ad altri Paesi». Prova ne è che più dell’80% della clientela private ha oltre 55 anni di età. E quanto a occupazione lavorativa, si nota che prevale la quota di imprenditori e professionisti (il 60% del totale), rispetto a quadri dirigenti.
L’INTERSEZIONE TRA PRIVATE E SRI
Massari ha sottolineato che «la propensione al rischio (dei private client, ndr) è bassa e questo, sui temi Esg, è positivo». In altre parole, il fatto che l’integrazione di fattori ambientali, sociali e di governance permetta di abbassare il rischio, avvicina la clientela private al mondo Sri. A questo si aggiunge che la diversificazione di questi portafogli è molto elevata e, di conseguenza, c’è spazio quanto meno per inserzioni Sri.
Andando poi ad analizzare la sensibilità dei clienti private verso gli investimenti socialmente responsabili, ha concluso la segretaria Aipb, si scopre che «sommando chi lo è “molto” a chi lo è “abbastanza” si arriva al 60%».
Detto questo, però, bisogna fare attenzione ai cambiamenti in corso. Come ha detto Fabbricotti di Awa Institutional: «La clientela è interessata spesso a investire in qualcosa che abbia un impatto positivo, non solo che non abbia un impatto negativo». E questo aspetto vale ancora di più quando si ha a che fare con chi gestisce i soldi di altri, come le fondazioni, per esempio. Un tipo di investitore, ha sottolineato sempre Fabbricotti, che comincia a chiedere «non solo un singolo prodotto Esg, ma un più generale approccio, una strategia di investimento Esg».
OPPORTUNITÀ “ENGAGEMENT”
Antonio Penzo ha fatto notare che, ormai, il «fondamento scientifico» che dimostra come l’integrazione di criteri extrafinanziari non peggiora, e spesso anzi migliora la situazione di performance e rischi, è ormai «un fondamento forte». In altri termini: «L’Esg funziona».
Eppure, ha ricordato il responsabile marketing di Bnp Paribas Am, ancora l’anno scorso prevaleva il pregiudizio che l’integrazione di questi fattori portasse a un peggioramento delle performance.
Dall’altra parte, ha evidenziato Giannelli di Bmo Global Am, gli investitori hanno la possibilità di spingere le società a cambiare il proprio comportamento. «Sfatato il falso mito che gli investimenti responsabili sono detrattori di performance, un aspetto significativo è che c’è una correlazione tra pratiche virtuose di un’azienda e il rendimento del titolo sul mercato». E il ruolo degli investitori risulta dunque «fondamentale», perché «possono avere un ruolo attivo affinché le aziende adottino criteri virtuosi». Giannelli, insomma, è convinto che «l’engagement, il dialogo costruttivo con le aziende, è una grossa sfida per chi gestisce gli investimenti responsabili».
UN FUTURO SENZA LA SIGLA “ESG”
Fabbricotti ha spiegato che la costruzione dei portafogli di clienti private è estremamente complessa e personalizzata. Si cerca innanzi tutto di stabilire la migliore asset allocation, per capire poi quali strumenti utilizzare. «C’è un team, per esempio, che fa una selezione quantitativa, ma fare questa analisi non è semplice. E c’è ancora un grande lavoro qualitativo. E anche una pluralità di definizioni e di clientela: nel Nord Europa, per esempio, c’è una connotazione più legata all’ambiente, mentre in Italia si è più legati a temi etici e religiosi». In breve, appunto, si tratta di un complesso lavoro «tailor made», fatto su misura.
Giannelli è convinto che «sul tema dell’Esg c’è ancora molta confusione e non si è ancora capito che è una tendenza che non può essere più fermata». E questo discorso, ha detto, arriva anche dalle Autorità di vigilanza, che spingono in questa direzione (basti pensare alla Mifid 2).
Proprio per questo, Giannelli auspica un futuro, «magari tra 10 o 15 anni, in cui non si metterà più la sigla Esg davanti a un fondo, perché tutti avranno questo approccio». Ad oggi, in ogni caso, Giannelli vede «una maggiore sensibilità da parte delle donne sui temi Esg e questo dovrebbe farci riflettere un po’».
Marco Ratti
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