allarme del fondo: le borse non scontano i rischi ambientali

Fmi, ecco il cigno verde: l’ignoranza Esg

8 Giu 2020
Editoriali SRI Finance Commenta Invia ad un amico
Gli analisti dell'organizzazione scoprono l'essenza del cigno verde: i valori azionari ignorano i rischi climatici. Un appello alla necessità di una migliore comprensione dei fattori Esg

Lo scorso gennaio, la Banca dei regolamenti internazionali (la Bis, Bank for international settlements) aveva riscosso un grande interesse per un report dal titolo particolarmente fortunato (nel senso: azzeccato): “Il cigno verde – Banca centrale e stabilità finanziaria nell’era dei cambiamenti climatici” (scarica il report). Nelle settimane successive, il cigno verde (metafora ricolorata del cigno nero, a sua volta emblema, per il filosofo-economista Nassim Nicholas Taleb, del rischio implicito della stupida ripetitività umana) fece il giro del mondo in termini di popolarità: la Bis aveva analizzato i potenziali effetti sistemici di una crisi ambientale. E il volatile verde si prese spazi nei media mondiali al pari di un Godzilla riemerso dagli oceani.

UN CIGNO SFUGGENTE

Ebbene, per quanto il report della Bis abbia avuto il merito di rendere popolare il potenziale di rischio, per il sistema finanziario, legato alle catastrofi ambientali, ancora non aveva esattamente centrato nell’obiettivo il vero “cigno verde”. La cui essenza non sta nella gravità del pericolo. Quanto nell’ignoranza dello stesso.

UN CIGNO IGNORANTE

La scorsa settimana, il Fondo monetario internazionale ha pubblicato il quinto Global Financial Stability Report relativo all’attuale periodo di instabilità, con un titolo assai più tradizionale: “Climate Change: Physical Risk and Equity Prices” (scarica il report). Ma il cui senso è forse anche più destabilizzante del report di gennaio della Bis. Gli analisti del Fmi, infatti, hanno trovato il cigno verde, ossia l’ignoranza del pericolo.

Analizzando i mercati azionari di 68 Paesi sviluppati e in via di sviluppo, rappresentanti il 95% del pil mondiale, nell’arco temporale dell’ultimo mezzo secolo, lo studio ha calcolato il grado di reazione dei mercati azionari al verificarsi di disastri ambientali. Rilevando che «l’impatto diretto (ossia in un arco di tempo circoscritto attorno all’evento, ndr) dei grandi disastri sul mercato azionario, sui titoli bancari e assicurativi è stato generalmente modesto» rispetto all’impatto reale degli avvenimenti. Soprattutto, emerge che la valutazione complessiva dell’equity sui listini al 2019 «non riflette le previsioni di rischi fisici nei diversi scenari di cambiamento climatico».

Di fatto, i valori delle azioni in Borsa non comprendono il rischio ambientale.

IL FATTORE CONOSCENZA

L’importanza dell’ignoranza del pericolo è già emersa con il Covid 19. Ma il Fmi, adesso, ci dice quanto siamo ignoranti sull’effetto ambientale, cosa che, vista l’enfasi generale con cui si parla di ambiente negli ultimi due anni, sembra assai più paradossale. Lo stesso Fmi ricorda come i player del mercato finanziario si stiano muovendo verso modelli maggiormente capaci di prezzare questi aspetti, ma rileva come sia «ancora minimale la quota di azioni detenuta dai fondi sostenibili».

Tutto questo evidenzia, ancora una volta, la distanza tra la finanza e l’economia reale. Un gap enorme, divaricatosi nel tempo, come le culture e le filosofie di oriente e occidente, cui è necessario porre rimedio con un carico di buona volontà e facendo una sola cosa: studiare e comprendere i multicolori della realtà, attraverso un paio di occhiali Esg.

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