Storia e funzionamento analizzati in teoria e in pratica

Come ti porto lo Sri in una tesi laurea

8 Feb 2018
Notizie SRI Finance Commenta Invia ad un amico
Gli investimenti Sri si possono approcciare anche in una tesi di laurea. Quella della Chitarin (Padova) percorre la storia, gli sviluppi e arriva a un confronto tra due portafogli: uno classico e uno con fondi Sri. Risultato: l'etica è anche efficiente

sri Spiegare cosa è, come funziona e quanto si può ricavare da un investimento socialmente responsabile non è così semplice, soprattutto per chi non si occupa di economia e finanza. La richiesta da parte del mercato rispetto agli investimenti Sri però sta aumentando, tanto da diventare oggetto di studio anche nelle università. E proprio una tesi di laurea dell’ateneo di Padova, scritta da Elisabetta Chitarin con relatore il professor Nunzio Cappuccio e correlatore il dottor Alberto Rampazzo, ha cercato di fare chiarezza su terminologia e impiego di questi nuovi investimenti, partendo dalla loro storia per terminare con un confronto tra due portafogli, uno Sri e uno classico, evidenziando analogie e differenze.

DAL POPOLO EBRAICO AI PRIMI INDICI SRI

I primi cenni sul tema si trovano nella dottrina religiosa del popolo ebraico e in alcuni scritti islamici. Nel Diciottesimo secolo furono poi alcune comunità metodiste a dichiarare illegali gli investimenti su armi, alcool o tratta degli schiavi. All’inizio del Novecento si trova traccia per la prima volta di un fondo etico. Negli Stati Uniti, nel 1928, nasce il Pioneer Fund. Ma sono i disastri ambientali di Chernobyl’ e Exxon Valdez a dare la spinta decisiva allo sviluppo di un interesse globale verso investimenti più etici e sociali, si legge nella tesi. La Svezia nel 1965 lancia per prima un fondo d’investimento Sri. In Italia si dovrà aspettare fino al 1997 per vedere la fondazione di Sanpaolo Azionario Internazionale Etico. Il primo indice azionario Sri, infine, sarà il Dow Jones Sustainability Index, creato nel 1999.

I DUBBI SULL’INVESTIMENTO RESPONSABILE

Investire Sri conviene o no? Questa è la domanda più frequente che si pongono i risparmiatori, a volte spaventati dall’idea di dare più importanza all’aspetto etico che a quello economico. Un altro dubbio riguarda il costo iniziale per l’investimento Sri, di norma più alto rispetto a uno classico. Infine l’efficienza: il grado di diversificazione raggiungibile da un portafoglio Sri è infatti inferiore rispetto a uno generico, che non ha alcuna restrizione.

In realtà, «lo screening Sri può portare ad una migliore performance perché questi portafogli incorporano importanti informazioni non completamente comprese dai mercati; l’idea è che il costo informativo sostenuto non sia necessariamente un sunk cost (costo affondato) ma che possa essere redditizio», scrive l’autrice della tesi. Sono stati diversi gli studi di settore che hanno indagato la reale performance dei fondi Sri, ma una risposta univoca non esiste. Per ora è stato negato solo mito dell’investimento Sri sistematicamente sub-performante.

LA CREAZIONE DI UN PORTAFOGLIO

Prima di fare un confronto tra investimenti etici e non, la dottoressa Chitarin ha spiegato la teoria del portafoglio, con i suoi principi base: il primo principio afferma che è possibile registrare rendimenti crescenti soltanto in presenza di rischi crescenti. Rischi che possono essere sistematici o specifici e di diverse tipologie, a seconda della loro volatilità. Ci sono infatti rischi di perdita, di liquidità, demografici. Molto dipende dall’orizzonte temporale cui è legato l’investimento. Il secondo principio è quello della diversificazione del portafoglio: dedicarsi quindi a diverse attività invece che concentrarsi solo su una specifica, in modo da avere diverse risposte all’andamento del mercato. Per farlo, si devono valutare i titoli e gli insieme di titoli con gli indici Alfa di Jensen e Beta, tra i due più conosciuti. Questi si basano sul Capital Asset Pricing Model (Capm), modello pubblicato nel 1964. Il Beta è «una misura del rischio sistematico del portafoglio o titolo considerato, ovvero la tendenza del rendimento di tale attività a variare in conseguenza alle variazioni di mercato». L’Alfa è «una misura di performance, nel contesto del Capm, che rappresenta il rendimento incrementale di un portafoglio (titolo o fondo) rispetto al rendimento che tale portafoglio avrebbe dovuto produrre sulla base del suo livello di rischio sistematico, sulla base del Capm». Nella tesi poi stati analizzati altri tre indici, quello di Sharpe, di Sortino e di Treynor.

PORTAFOGLI A CONFRONTO

Per fornire un esempio pratico di investimento Sri, l’autrice della tesi ha creato due portafogli fittizi, uno con fondi etici e uno classico. Entrambi sono stati creati per il 60% con fondi obbligazionari e per il 40% con fondi azionari. Sono stati scelti più obbligazionari perché quest’asset class è caratterizzata da una volatilità più contenuta rispetto a quelli azionari. I fondi sono comuni e non necessariamente con il miglior rating, senza mandato Esg. Per quanto riguarda invece i fondi etici, per prima cosa sono stati selezionati quelli per cui esisteva un mandato Esg. A cui sono stati integrati quelli che si classificano nelle fasce più alte del Sustainability Rating di Morningstar. Poi è stato fatto il confronto: il portafoglio Generico ha un profilo di rendimento atteso più elevato, con un maggiore livello di rischio atteso. Il portafoglio Sri, invece, presenta una volatilità inferiore e un rendimento più contenuto. Un ulteriore confronto è stato poi fatto in un arco temporale più lungo, di 10 anni. Entrambi i portafogli sono stati caratterizzati da una buona crescita, realizzando un risultato nettamente positivo e incrementando il proprio valore di mercato di più del 40%, dimostrandosi entrambi ottime soluzioni di investimento.

Dopo un interessante approfondimento su alfa, beta, Sharpe,  Sortino e Treynor, la tesi conclude affermando che «l’analisi
conferma le ipotesi illustrate nella sezione teorica di questo elaborato, in particolare che l’investimento socialmente responsabile è un’alternativa valida e che tramite un portafoglio ben diversificato è possibile ottenere risultati comparabili , talvolta anche superiori, in termini di efficienza, intesa come rapporto tra misure di rendimento e di volatilità, con l’investimento tradizionale».

Cecilia Mussi

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