Le normative europee non favoriscono il cambio di prospettiva
Esg alla prova del primato dell’azionista
Le iniziative europee in corso per l’integrazione della sostenibilità ambientale nel decision making del business non bastano per spostare il focus dal primato assegnato agli azionisti. Per un cambio di priorità a favore degli stakeholder è invece necessario un intervento regolatorio più stringente e coerente con questo obiettivo, a fronte di un impianto normativo europeo che ha lasciato spazio alla massimizzazione del profitto di breve periodo per gli azionisti.
È questa la riflessione lanciata sulle pagine dell’Oxford Business Law Blog da Andrew Johnston, professore di diritto societario e corporate governance all’Università di Sheffield, e Beate Sjåfjell, professoressa di Legge all’Università di Oslo. I due studiosi hanno approcciato il tema in occasione della stesura di un capitolo del volume “Research Handbook on EU Environmental Law” pubblicato Marjan Peeters and Mariolina Eliantonio. Dopo aver passato in rassegna i passi presi in ambito di diritto societario europeo per spingere il business verso una maggiore sostenibilità, la conclusione degli studiosi è chiara (e definita «deludente»): «Fatta eccezione per il tema della disclosure delle informazioni, poco è stato fatto a oggi per sfruttare il potenziale delle società nel contribuire alla fondamentale transizione verso la sostenibilità». Certo, ci sono anche segnali di cambiamento, tra cui il Green deal che è stato appena presentato e che lascia pensare a cambiamenti significativi in futuro.
Anche la ricerca accademica, rilevano gli autori, supporta questa riflessione. Per esempio, il progetto Smart (Sustainable market actors for responsabile trade) coordinato dall’Università di Oslo e di cui fa parte la professoressa Sjåfjell, propone in un report di fine 2019 una serie di riforme di policy (il documento finale sarà pubblicato più avanti nel 2020) che riguardano l’Unione europea sia come attore globale sia come legislatore e policymaker. Il progetto vuole esplicitamente distanziarsi dall’approccio di pensiero per silos (silo thinking) che ha caratterizzato la ricerca nel passato. Andando oltre alla constatazione che c’è un’emergenza climatica, riconosce che quello che stiamo affrontando è piuttosto una convergenza di crisi: ambientale, sociale, economica e finanziaria.
Allo stesso tempo, alcuni accademici di diverse discipline, tra cui lo stesso Johnston, hanno supportato lo “Statement on Corporate Governance for Sustainability” in cui si sostiene che l’attuale modello di corporate governance debba essere riformato. Per farlo, si propongono specifiche raccomandazioni per chiarire le obbligazioni del board e dei consiglieri e rendere le pratiche di governance aziendale significativamente più sostenibili e focalizzate al lungo periodo.
RIFORMARE LA CORPORATE GOVERNANCE
Lo statement suggerisce in particolare alcuni specifici interventi, anche a livello normativo:
- I consiglieri dovrebbero essere soggetti all’obbligazione legalmente vincolante di sviluppare, comunicare e implementare una strategia di sostenibilità che guardi al futuro e che affronti i temi Esg materiali e con significativi impatti connessi al business model della società.
- I consiglieri dovrebbero avere discrezionalità su ciò che è giudicato materiale per la strategia di sostenibilità, ma la legge dovrebbe chiarire che lo scopo di richiedere alle aziende di produrre tale strategia è quello di assicurare il rispetto del pianeta (secondo il concetto coniato nel 2009 da un gruppo di scienziati ambientalisti dei “Planetary boundaries”) e dei diritti umani, così come integrare gli Esg in tutti gli aspetti delle operazioni aziendali. «Per assicurarsi che tale strategia copra le tematiche rilevanti, la legge dovrebbe specificare un definito set di questioni specifiche per il settore e obiettivi pubblici da approcciare sulla base del principio “comply or explain”».
- Una specifica percentuale dei Kpi e della remunerazione del management dovrebbe essere legato al raggiungimento di target misurabili fissati nella strategia di sostenibilità dell’azienda (con le leggi nazionali che dovrebbero recepire l’obbligo di disclosure sul tema).
Queste indicazioni si traducono in ulteriori specifici obblighi per il board:
- includere nella strategia di sostenibilità target verificabili e un impegno a mettere a disposizione sufficienti risorse al board
- emettere un report annuale sui progressi da includere nel non financial report
- istituire un comitato non esecutivo composto da indipendenti per monitorare e revisionare il contenuto e l’implementazione della strategia di sostenibilità
Per gli autori il fallimento nell’implementazione della strategia di sostenibilità dovrebbe essere considerato «una violazione del dovere di buona fede dei consiglieri esecutivi (quando intenzionale) e del dovere di attenzione (quando accidentale). Infine, si suggerisce l’istituzione di un ente nazionale davanti al quale aprire procedimenti contro gli esecutivi qualora non abbiano implementato la strategia di sostenibilità causando seri danni a terze parti o danni illegittimi all’ambiente.
Elena Bonanni
Questo articolo è stato pubblicato in anteprima nella newsletter destinata ai partner di ESG governance LAB
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