Ecco la nuova impresa sociale. Superato (a metà) qualche tabù
Comincia a prendere corpo la nuova formula di impresa sociale. Nelle scorse settimane, il consiglio dei ministri ha approvato, in esame preliminare, tre decreti legislativi di attuazione della legge delega per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale (legge 6 giugno 2016, n. 106).
Vengono definiti gli enti appartenenti al Terzo settore. Viene prevista la ridefinizione di “enti non commerciali”, con una migliore integrazione nel regime fiscale e di regolamentazione imprenditoriale vigenti, e con la corrispettiva evidenziazione di vantaggi fiscali e regolamentari a seconda della tipologia di ente.
Viene soprattutto individuata la formula dell’impresa sociale. Resta molto forte la componente volointaristica: «Possono acquisire la qualifica di impresa sociale – si legge nel comunicato di Palazzo Chigi – tutte le organizzazioni private, incluse quelle costituite in forma societaria, che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività».
Per contro, però, si cercano spazi per ampliare la natura “imprenditoriale” anche in ambito sociale. C’è un limite entro il quale diventa possibile svolgere attività differenti: «L’attività di impresa di interesse generale deve essere svolta “in via principale”, ossia deve generare almeno il 70 per cento dei ricavi complessivi».
E c’è poi il primo superamento, pur con una serie di riserve, del tabù della distribuzione degli utili: «Al fine di favorire il finanziamento dell’impresa sociale mediante capitale di rischio, il decreto, in attuazione della delega, ha introdotto la possibilità per le imprese sociali (costituite in forma di società) di remunerare in misura limitata il capitale conferito dai soci. In particolare, l’impresa sociale, costituita in forma societaria, può destinare una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo calcolate dall’ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio in cui gli utili sono stati prodotti, oppure alla distribuzione, anche mediante l’emissione di strumenti finanziari, di dividendi ai soci, in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato».
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