focus/1 sulla conferenza di Sharm El Sheikh
COP27 e la finestra di opportunità
Il vertice internazionale che annualmente riunisce governi, business, società civile e altri stakeholder per accelerare l’azione collettiva per il clima è all’inizio. Definito da molti la ‘COP dell’implementazione’ (dopo quella della ‘negoziazione’ di Glasgow), la 27esima Conference of the Parties di Sharm El Sheikh, in Egitto, si inserisce in un contesto globale caratterizzato da un incessante moltiplicarsi di crisi che, se da un lato rischiano di rallentare l’azione per il clima, dall’altro ne ribadiscono l’urgenza. Un panorama complesso che darà forma al dibattito della conferenza.
Aumentare drasticamente la velocità e la portata dell’azione per il clima è la priorità di oggi, e l’unico modo per evitare gli effetti irreversibili del cambiamento climatico domani. La COP27 è un momento cruciale di questo percorso e i leader dei governi di tutto il mondo sono chiamati a definire le modalità di attuazione dell’Accordo di Parigi e dare il via alla sua implementazione in termini pratici.
A che punto siamo in questo percorso? E quali sono le priorità da affrontare per favorire un’implementazione rapida, equa e coordinata?
UNA FINESTRA SEMPRE PIÙ STRETTA
Il nuovo Ndc Synthesis Report delle Nazioni Unite offre una sintesi di come i quasi 200 Paesi che hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi nel 2015 stanno portando avanti le Nationally Determined Contributions (Ndc), ossia le promesse volontarie avanzate dai governi in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. L’analisi riscontra, ad oggi, un divario tra gli impegni climatici e la riduzione necessaria a raggiungere gli obiettivi di Parigi.
In un contesto in cui la finestra temporale in cui agire è sempre più stretta, gli impegni climatici assunti dai governi potrebbero portare il pianeta a un riscaldamento di circa 2,5°C entro la fine del secolo. In assenza di ulteriori azioni, ci stiamo muovendo verso uno scenario molto lontano da quello limite di 1,5°C, e molto più simile a uno degli scenari meno ottimistici delineati dall’Ipcc all’inizio di quest’anno. Tenendo conto dell’attuazione di tutti i più recenti Ndc, il rapporto ci mostra anche che gli impegni attuali aumenteranno le emissioni globali del 10,6% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2010, portando all’emissione di circa 55,1 Gt Co2 eq nel 2030. Nonostante le emissioni globali di gas serra abbiano continuato a crescere negli ultimi 10 anni, il tasso di crescita è rallentato rispetto al decennio precedente. Il recente Emissions Gap Report di Unep mostra infatti che, tra il 2010 e il 2019, la crescita media annua delle emissioni globali è stata dell’1,1%, rispetto al 2,6% annuo tra il 2000 e il 2009. Un segnale positivo che, però, non ci fornisce ancora evidenza della rapida tendenza al ribasso che la scienza ritiene necessaria per questo decennio.
PRIORITÀ PER UNA TRASFORMAZIONE DI SISTEMA
Da anni Global Risks Report del World Economic Forum classifica il ‘fallimento dell’azione climatica’ come la prima minaccia a lungo termine per il pianeta e il rischio dagli impatti potenzialmente più gravi nel prossimo decennio. Se è vero che la finestra di opportunità è sempre più stretta, ricordiamoci che non si è ancora chiusa del tutto. I governi hanno l’opportunità (e il dovere) di definire strategie concrete per la messa in pratica dell’Accordo di Parigi a livello nazionale, attraverso leggi, politiche e programmi ambiziosi, nonché attraverso la cooperazione internazionale, per scongiurare il fallimento dell’azione climatica.
Come fare per implementare una transizione climatica coordinata, equa e rapida è la domanda chiave su cui la COP27 dovrà fornire delle risposte, per costruire nella pratica un percorso che non lasci nessuno indietro. Per fare ciò, i leader mondiali dovranno lavorare per trovare soluzioni alle seguenti priorità.
Mitigazione. L’implementazione di un percorso globale di decarbonizzazione non è più rimandabile. L’ultimo rapporto dell’Ipcc, pubblicato all’inizio di quest’anno, indica che le emissioni di gas serra devono essere ridotte del 43% entro il 2030 per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C entro la fine del secolo. Responsabile per la maggior parte delle emissioni globali di gas serra attraverso intensive catene di approvvigionamento, anche il settore privato può giocare un ruolo chiave nel processo di decarbonizzazione, avendo a disposizione validi strumenti per ridurre le proprie emissioni e compensare quelle residue attraverso la climate finance dei crediti di carbonio.
Climate finance. La trasformazione globale da un’economia fortemente dipendente dai combustibili fossili a un’economia a basse emissioni di carbonio richiede un riallineamento dei sistemi finanziari, che diriga e catalizzi gli investimenti dove necessario per assicurare che il gap nei finanziamenti globali per il clima venga colmato. Con l’Accordo di Parigi, i Paesi dalle economie più sviluppate hanno promesso di mobilitare 100 miliardi di dollari l’anno come sostegno alle economie emergenti per gestire gli effetti dei cambiamenti climatici e passare alle energie rinnovabili. Dati dell’Ocse rivelano però che la mobilitazione massima da quando questo obiettivo è stato fissato per la prima volta nel 2010 è stato di circa 80 miliardi di dollari nel 2020, una cifra ancora lontana da quella necessaria per colmare il gap dei finanziamenti globali per il clima.
Collaborazione e systemic change. La crisi climatica coinvolge tutti e l’approccio per affrontarla deve necessariamente essere condiviso da economie trainanti ed emergenti. Ad oggi, le emissioni e gli impegni per ridurle sono fortemente disomogenei tra regioni e Paesi. Secondo l’Emissions Gap Report del Wef, i primi sette emettitori (Cina, UE-27, India, Indonesia, Brasile, Federazione Russa e Stati Uniti d’America) più il trasporto internazionale rappresentano il 55% delle emissioni globali di gas serra nel 2020. E nonostante i membri del G20 siano responsabili del 75% delle emissioni globali di gas serra, collettivamente questi Paesi non stanno facendo ancora abbastanza per concretizzare i loro impegni climatici. I leader mondiali sono chiamati a definire misure eque per sostenere tutte le nazioni a mantenere in vita l’obiettivo di 1,5°C di Parigi e favorire un cambiamento sistemico.
Adattamento, perdite e danni. I cambiamenti climatici sono già qui. Oltre a fare tutto il possibile per ridurre le emissioni e rallentare il ritmo del riscaldamento globale, i governi devono anche adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici per proteggere le comunità, specialmente quelle più vulnerabili. L’importanza dell’adattamento è stata riconosciuta dall’adozione alla COP26 di un programma di lavoro condiviso rispetto a questo tema, che tuttavia si vede ad oggi destinato solo il 5% dei finanziamenti per il clima. Anche trovare un modo per catalizzare consenso politico e sostegno economico per sviluppare strategie a supporto dei Paesi che subiscono gravi perdite e danni dovuti al cambiamento climatico è sempre più importante. Secondo l’African Development Bank, l’Africa perde tra il 5% e il 15% del PIL pro capite ogni anno a causa del cambiamento climatico, nonostante contribuisca a circa il 2-3% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Un fenomeno che sta spingendo i Paesi in via di sviluppo a indebitarsi sempre di più e che richiede una trasformazione profonda nella gestione della crisi climatica, delle strutture di potere geopolitico ed economico, nonché la costruzione di infrastrutture nuove, rispettose del clima e resilienti su scala globale.
Sono molte le sfide che i leader globali devono affrontare, e la COP 27 è il momento in cui possono farlo assieme, accelerando l’azione per il clima e passando dai negoziati all’implementazione, per una trasformazione profonda di tutti i settori della società.
Valentina Ortis
editor di Carbonsink
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