ANALISI esma

Clima, il rischio in portafoglio è l’acqua

15 Ott 2024
Notizie SRI Finance Commenta Invia ad un amico
L'Authority analizza due differenti approcci per valutare il rischio di impatti fisici legati al clima sui portafogli dei fondi Ue. Da un lato utilizza i dati per Paese e dall'altro i dati per singola azienda. Anche se le metodologie differiscono, entrambe evidenziano che i rischi più importanti per i fondi Ue riguardano l'acqua

La natura e l’entità dell’impatto economico dei cambiamenti climatici fisici dipendono fortemente dal settore economico considerato. Nel settore finanziario, «sebbene la vulnerabilità dei portafogli dei fondi di investimento ai rischi fisici appaia limitata, alcuni fondi potrebbero comunque essere esposti ai rischi fisici legati al clima, a causa della natura dei loro investimenti (ad esempio, attività immobiliari), della composizione settoriale del loro portafoglio o dell’orientamento geografico della loro politica d’investimento». È quindi importante comprendere gli impatti fisici dei cambiamenti climatici (ossia i rischi fisici legati al clima) sia per i fund manager per identificare e gestire in modo proattivo i potenziali rischi derivanti dai cambiamenti climatici, sia per le autorità del settore finanziario per monitorare i rischi legati al clima per le organizzazioni e i prodotti che rientrano nelle loro competenze di vigilanza

Queste considerazioni sono emerse dal report sui rischi di Esma “Assessing portfolio exposures to climate physical risks” che, oltre ad offrire una panoramica sulle principali sfide legate alla valutazione dell’esposizione del portafoglio agli impatti fisici dei rischi climatici, offre alcuni spunti di riflessione per il settore dell’asset management tramite l’analisi del sottostante di due panieri di fondi di investimento Ue attraverso l’utilizzo di due diverse metodologie di valutazione e fonti di dati sull’esposizione al rischio climatico fisico.

Le due metodologie adottate fanno riferimento, in un caso, all’ND GAIN Index (The University of Notre Dame Global Adaptation Initiative Country Index) e, nell’altro, ai climate risk indicators dell’European System of Central Banks (Escb).

IL PROBLEMA DEI DATI

La valutazione dell’esposizione del portafoglio ai rischi fisici è colma di difficoltà. Uno dei principali ostacoli è rappresentato dalla disponibilità e qualità dei dati, corredati dalla diversa granularità delle informazioni.

Come indicato nel report, un modo per eseguire una valutazione bottom-up completa delle esposizioni è quello di esternalizzarla. Diversi fornitori di dati Esg offrono valutazioni e punteggi del rischio climatico fisico specifici per azienda o per Paese. Tuttavia, sussistono gli stessi problemi di incoerenza dei rating Esg più ampi. Un’alternativa interna è quella di affidarsi a una valutazione top-down utilizzando misure di rischio fisico aggregate (ad esempio a livello di Paese o di settore) applicate alle singole esposizioni finanziarie. Sebbene questo tipo di approccio sia meno dispendioso in termini di risorse, comporta importanti ipotesi semplificative.

DUE METODOLOGIE A CONFRONTO

La prima ricorre all’indice ND GAIN che valuta la vulnerabilità e la prontezza di 193 Paesi nei confronti degli sconvolgimenti climatici. Si basa su 45 indicatori provenienti da 74 fonti di dati dal 1995 e aggiornati annualmente. Gli indicatori di vulnerabilità (scomposta tra esposizione, sensibilità e capacità di adattamento di ciascun Paese) coprono sei settori di supporto alla vita: cibo, acqua, salute, servizi ecosistemici, habitat umano e infrastrutture.

Facendo un match tra gli score di esposizione a livello di Paese (e gli indicatori sottostanti) dell’indice ND GAIN con i dati di Morningstar sull’esposizione dei fondi a livello di Paese (il data set di riferimento comprende oltre 12.300 fondi Ue per un patrimonio in gestione pari a 4,5 trilioni di euro a fine 2023) è possibile calcolare l’esposizione ai rischi fisici climatici dei fondi.

Dall’analisi emerge che i fondi Ue sono esposti soprattutto ai rischi di biodiversità marina e ai rischi di alluvione (soprattutto per i fondi domiciliati nel Nord Europa).

La seconda metodologia si basa sugli Escb climate risk indicators che misurano l’esposizione delle istituzioni finanziarie dell’area dell’euro (attraverso i loro prestiti, titoli di debito e portafogli azionari) ai rischi derivanti dai pericoli legati ai cambiamenti climatici.

A differenza dell’indice ND GAIN, la metodologia del Escb valuta le esposizioni ai rischi fisici a livello aziendale e utilizza un approccio bottom-up basato su tre livelli: pericolosità, esposizione e vulnerabilità. La metodologia ESCB fornisce quindi informazioni più granulari che vanno al di là degli indicatori a livello di Paese contenuti nella serie di dati ND GAIN.

Combinando gli score Escb disponibili a livello di società e il sottostante dei portafogli dei fondi d’investimento del database Morningstar (il paniere comprende 18.413 fondi Ue per 10,2 trilioni di euro in gestione) emerge che l’esposizione agli impatti fisici legati ai rischi climatici dei fondi Ue varia notevolmente a seconda del loro domicilio.

Ad esempio, l’esposizione a giorni consecutivi di siccità, incendi e stress idrico tende a essere più rilevante per i fondi domiciliati nei Paesi dell’Europa meridionale, mentre i fondi domiciliati nei Paesi dell’Europa settentrionale e centrale tendono a essere più esposti alle inondazioni.

Sebbene coprano argomenti simili, le metriche utilizzate nei dataset ND GAIN e Escb differiscono. Infatti, rispetto agli score ND GAIN, che si basano esclusivamente su dati previsionali, gli score di rischio Escb si basano su dati storici.

I FONDI SONO ESPOSTI AI RISCHI LEGATI ALL’ACQUA

I risultati di questi due approcci, si legge nel report, evidenziano l’importanza di valutare i rischi climatici a livello di singolo pericolo, data la diversa natura, interpretazione e distribuzione di questi rischi.

«Anche se le metodologie e le definizioni differiscono tra i due approcci, entrambi tendono a mostrare che i rischi più importanti per i fondi Ue riguardano l’acqua».

I fondi domiciliati nel Nord Europa tendono a essere più esposti a società potenzialmente soggette a rischi di inondazione. I dati Escb rivelano inoltre che i fondi domiciliati nel Sud Europa sono relativamente più esposti alle conseguenze degli squilibri tra domanda e offerta di acqua.

Noemi Primini

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