STUDIO METTE IN GUARDIA SULLA ECCESSIVA STANDARDIZZAZIONE
Armonizzazione Esg? Non a tutti i costi
Con la crescita impetuosa degli investimenti e dei prodotti Esg dallo scoppio della crisi pandemica da Covid-19 si sono moltiplicati gli appelli per rafforzare e accelerare i processi di armonizzazione a livello internazionale sulle modalità e criteri di disclosure Esg. Una rincorsa all’armonizzazione su cui, almeno a parole, è maturato un ampio consenso nella comunità globale delle autorità di regolamentazione, così come fra gli operatori di mercato.
Lo studio “Connecting the COVID-19 pandemic, environmental, social and governance (ESG) investing and calls for ‘harmonisation’ of sustainability reporting” sviluppato da Carol A. Adams (Durham University Business School) e Subhash Abhayawansa (Swinburne Business School) offre per la prima volta un punto di vista critico sulle parole d’ordine di una maggiore armonizzazione della reportistica Esg. Secondo i ricercatori, infatti, si sono diffusi almeno tre miti a giustificazione del carattere necessario e urgente di un simile processo di armonizzazione, che risultano più problematici di quanto non appaiono. Alla base vi è il tentativo di semplificare il reporting e i criteri di analisi Esg, consegnando di fatto la loro standardizzazione a organismi privati controllati dagli stessi attori di mercato.
In particolare, la ricerca punta il dito contro il pericolo di “cattura” della standardizzazione dell’analisi e disclosure Esg nelle mani di uno o pochi organismi esposti all’influenza dei colossi finanziari globali. Il focus si rivolge nello specifico a un organismo come la Ifrs Foundation, ad oggi uno dei maggiori candidati nella standardizzazione globale Esg, che, come osservano gli analisti, risulta caratterizzato da una commistione con gli interessi dell’industria finanziaria e dall’esigenza di rispondere ai bisogni di mercato, tale da non renderlo affidabile.
I “miti” a favore di una maggiore armonizzazione della trasparenza Esg finirebbero così per limitare il pluralismo e la ricerca in questi ambiti, ancora complessi e da esplorare, favorendo un approccio finalizzato a fornire metriche e criteri semplici per le esigenze delle grandi società di asset management e per quelle delle imprese, tralasciando considerazioni più ampie e problematiche sul ventaglio ampio degli impatti ambientali, sociali e di governance.
Il primo dei tre miti che lo studio intende smontare si riferisce proprio alla conclamata urgenza di un organismo di standardizzazione globale sui fattori Esg, da affidare a un’entità come la IFRS Foundation. Analizzando i commenti e risposte a una consultazione lanciata su questo tema proprio dalla IFRS Foundation, i ricercatori notano come gli argomenti a favore di un’armonizzazione globale «non sono sostenuti da una valutazione indipendente dei meriti e limiti degli organismi di standardizzazioni attualmente esistenti, né di come il proposto Sustainability Standards Board dell’IFRS sarebbe superiore ad altri organismi». L’urgenza per i ricercatori è semmai quella di porre a un sistematico vaglio critico i diversi approcci e metodologie di analisi proposte da diversi organismi e agenzie di regolamentazione, pubbliche e privati, valutandone in chiave comparata pregi e difetti.
Il secondo mito consiste nell’assegnare all’analisi della materialità finanziaria un ruolo chiave nella disclosure Esg, come appunto condiviso dalle principali associazioni private di standardizzazione. Il documento di consultazione della Ifrs Foundation, emblematico di questo approccio, limita l’analisi della materialità Esg solo a quei fattori che sono rilevanti dal punto di vista finanziario per gli investitori, tralasciando quindi altre dimensioni di impatto Esg delle aziende non direttamente materiali ai fini del processo di investimento, ma decisivi nell’ottica dello sviluppo sostenibile.
Infine, lo studio confuta anche il mito che lo sviluppo di metriche coerenti e comparabili nella disclosure Esg debba essere una priorità a livello globale, da demandare a organismi globali in cui il ruolo degli attori di mercato è preponderante. «L’appello degli investitori per metriche univoche e comparabili», evidenziano i ricercatori, «è in linea con la volontà di rendere le cose più semplici possibili». Tuttavia, «le questioni relative alla sostenibilità sono complesse, interconnesse, dinamiche e incerte», ed è per questo motivo che «ogni tentativo di ridurre la complessità in questo ambito mettendo al primo posto la coerenza e comparabilità finirà per produrre solo informazioni parziali e potenzialmente scorrette».
In conclusione, l’articolo richiama la necessità di una maggiore attenzione della comunità finanziaria pubblica e privata per una visione olistica e pronta a cogliere la complessità dei temi inerenti alla sostenibilità finanziaria, mettendo in guardia dai rischi che la conoscenza e trasparenza su questa materia diventi appannaggio quasi esclusivo di quegli stessi attori di mercato interessati a produrre e scambiare i prodotti di investimento sostenibili. Un simile approccio, limitato alla considerazione della materialità finanziaria Esg, risulterebbe pericoloso per la stessa sostenibilità dei mercati dei capitali nel lungo periodo, soffocando quel pluralismo che solo può far crescere la ricerca su queste tematiche.
Giuseppe Montalbano
disclosureDurham University Business SchoolIfrs FoundationreportingSustainability Standards BoardSwinburne Business School