Per le assicurazioni italiane l’Esg non è “vero” business
L’88% delle società italiane operanti nel settore assicurativo ritiene che valori ed etica siano il principale fattore sottostante la scelta di adottare pratiche ambientali, sociali e di governance (Esg), mentre solo il 13% attualmente considera l’Esg come un’opportunità d’investimento. È quanto emerge da una recente indagine tra le compagnie assicurative europee commissionata da Aberdeen Standard Investments (Asi).
Tutti gli intervistati, si legge in un nota, concordano sul fatto che le considerazioni Esg possono ridurre i rischi finanziari, ma solo il 75% di essi ritiene che la gestione del rischio sia una motivazione importante per sviluppare pratiche d’investimento sostenibili. Le pressioni degli azionisti rappresentano una motivazione chiave per il 25% degli intervistati, principalmente grandi compagnie assicurative, a testimonianza, secondo l’analisi, del minore interesse nutrito per le questioni Esg da parte di mercati, Ong e clienti italiani. Le società italiane fanno ampiamente ricorso a meccanismi di esclusione (75% degli intervistati), mentre la gestione responsabile e l’integrazione dei fattori Esg, pur essendo popolari, sono limitati agli operatori più all’avanguardia. L’investimento a impatto è una pratica adottata dall’88% degli intervistati e riguarda asset class illiquide, che vengono di solito gestite esternamente e rappresentano una quota di minoranza nei portafogli delle compagnie assicurative. La maggior parte dell’operato in campo Esg si è concentrato nel settore ambientale, con il 63% degli intervistati che ha dichiarato di avere implementato le misure per combattere il cambiamento climatico. Tuttavia, solo il 60% di essi ha stabilito obiettivi specifici di riduzione della Co2.
L’indagine ha rilevato altresì che il 50% delle società è in ritardo rispetto ai propri gestori patrimoniali e non prevede di assumere un ruolo attivo in campo Esg, pertanto queste imprese avranno bisogno di supporto da parte dei gestori patrimoniali per stare al passo con la regolamentazione. Oltretutto, le autorità competenti italiane non hanno preso posizione riguardo all’investimento sostenibile, e dunque le aziende locali sono più indietro rispetto alle controparti europee nell’adottare buone pratiche ESG.
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