Bocconi: l’ambiente non basta. Per la moda la sostenibilità si complica

24 Mag 2021
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La sostenibilità si fa estremamente complessa. Soprattutto, per i brand della moda, fino a oggi orientati soprattutto ad allinearsi con il rispetto di parametri ambientali. Il messaggio arriva dalla ricerca “The Future of Retail Store and Customer Engagement in the New Normal”, condotta dagli studenti del Mafed, il Master in Fashion, Experience & Design Management di Sda Bocconi.

Gli studenti hanno sottoposto un questionario a centinaia di consumatori in tutta Europa e in parallelo hanno intervistato una quindicina di manager di aziende per comprendere a fondo azioni e strategie per il futuro. L’indagine porta alla luce alcune importanti nuove tendenze.

La sostenibilità non solo continua a giocare un ruolo prioritario per le scelte di acquisto, ma diventa anche un elemento che giustifica il premium price. Lo conferma il fatto che oltre la metà dei consumatori si dice disposto a spendere dal 5 al 20% in più per capi di abbigliamento con un impatto ambientale e sociale significativo. Allo stesso tempo, la sostenibilità in termini di impegno per la salvaguardia del pianeta viene sempre più considerata una condizione necessaria, ma di per sé non sufficiente.

Ma  i consumatori di oggi chiedono di più: il benessere dei dipendenti (66%), la trasparenza della filiera (35%) e una riduzione del consumo di energia e acqua nella produzione (33%). Seppure importanti, le azioni volte alla tutela dell’ambiente, quali la riduzione di Co2 (29%) e l’adozione di materiali riciclati (26%), non sono più ritenute parametri sufficienti. Otto consumatori su dieci (82%) si aspettano infatti che i brand di moda mettano innanzi tutto al primo posto la salute, la sicurezza e il benessere dei dipendenti. Per questo, rimane alta l’attenzione per la parità di genere (45%) e l’impegno da parte dei brand a mantenere relazioni di fiducia con i fornitori (50%).

Anche il sentiment nei confronti del “Made in” sta cambiando. Il Paese di origine di un prodotto resta un fattore di scelta significativo per chi ha più di 55 anni (53%). Tra i consumatori al di sotto dei quarant’anni il fattore “Made in” fine a se stesso conta poco (appena del 30% per i Millennial) mentre a contare realmente sono la trasparenza e la tracciabilità della filiera. In sostanza,  per i più giovani, un prodotto “Made in China” può essere ritenuto di maggior valore se dotato di infomazioni sulla sua tracciabilità rispetto a un prodotto “Made in Italy” di cui non si sa nulla.

Infine, attenzione al riuso. Nel 2020 la spesa per i capi di abbigliamento è diminuita del 68% rispetto al 2019. Ciò si traduce nella grande importanza attribuita oggi aI value for money, una priorità nelle scelte di acquisto per il 73% del campione intervistato. I consumatori preferiscono investire in capi con una maggiore qualità (54%) e destinati a durare nel tempo (45%). Per questo si sta affermando la tendenza ad acquistare prodotti pre-owned, ovvero di seconda mano. E sebbene il fenomeno interessi soprattutto le nuove generazioni più sensibili al ciclo di vita dei prodotti in termini di sostenibilità e spesa, non sarà una moda passeggera, ma una tendenza destinata a restare.

 

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