Climate change, rischio maxi downgrade dei rating dei Paesi
Uno studio basato su un algoritmo sviluppato da un gruppo di università britanniche ha previsto che, entro il 2030, 63 Paesi (circa la metà di quelli valutati da S&P Global, Moody’s e Fitch, le maggiori società di rating globali) potrebbero vedere il loro rating tagliato a causa del cambiamento climatico.
Come riportato dalla rassegna sostenibile di questa settimana (Et.Observer/ 253) I ricercatori dell’Università di Cambridge, dell’Università dell’East Anglia e della Soas di Londra hanno esaminato uno “scenario realistico” noto come RCP 8.5, in cui le emissioni di carbonio e di altri inquinanti continuano ad aumentare nei prossimi decenni. Hanno poi esaminato come il probabile impatto negativo dell’aumento delle temperature, del livello del mare e di altri effetti del cambiamento climatico sulle economie e le finanze dei Paesi potrebbe influenzare i loro rating creditizi.
I Paesi più colpiti sono Cina, Cile, Malesia e Messico, che potrebbero vedere downgrade di sei notch (le “tacche” di giudizio utilizzate dai rating provider) entro la fine del secolo, così come Stati Uniti, Germania, Canada, Australia, India e Perù che potrebbero vedere downgrade di circa quattro notch. Lo studio ha anche stimato che, poiché i tagli di rating di solito aumentano i costi con cui i Paesi si finanziano sui mercati internazionali, i declassamenti indotti dal clima aggiungerebbero tra i 137 e i 205 miliardi di dollari di costi annui entro il 2100.
In uno scenario alternativo RCP 2.6, in cui le emissioni di CO2 iniziano a diminuire e vanno a zero entro il 2100, l’impatto del rating sarebbe poco più di mezzo notch in media e il costo aggiuntivo combinato sarebbe un più modesto 23-34 miliardi di dollari.
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