ET.DIRECTORIES - I REPORT DELLE ULTIME TRE SETTIMANE
Quelli che… studiano la sostenibilità/ 57
Nella sua attività quotidiana, ETicaNews riporta o menziona con continuità ricerche, analisi, report sul business sostenibile e responsabile. Di seguito, riportiamo una selezione relativa alle ultime settimane, con una breve sintesi del contenuto e con un rimando al relativo articolo. Questi report sono una minima parte delle centinaia di ricerche che ETicaNews ha incrociato nel suo percorso, e che stiamo raccogliendo nelle nostre Directories, per offrire un riferimento unico ai professionisti dell’economia e della finanza responsabile. Il servizio Directories fa parte del pacchetto ET.pro.
ABBIAMO PARLATO DEL report…
Workforce Disclosure in 2019: Trends and Insights (ShareAction)
ARTICOLO: ShareAction, i limiti della disclosure sui Kpi sulla forza lavoro
Le società forniscono dati sulle proprie strutture di governance della forza lavoro ma non condividono limitate informazioni sui meccanismi interni di responsabilità. Lo rileva ShareAction nel suo report Workforce Disclosure Iniziative per l’anno 2019. Il questionario è stato completato da 118 società a livello mondiale, tra cui Enel ed Eni per l’Italia. In particolare, il 63% dei partecipanti ha affermato che le informazioni sulla forza lavoro sono usate soprattutto per la valutazione sulla performance non finanziaria della società che è di solito riportata nei report annuali, sebbene spesso per solo un sottoinsieme di Kpi (salute, sicurezza e diversity). È qui interessante notare, rileva il report, che «nessuna società ha riportato le conseguenze legate a un mancato raggiungimento di questi Kpi». Solo il 14% usa i Kpi sulla forza lavoro per determinare le politiche di remunerazione, legare la performance con la remunerazione individuale e i pacchetti dei bonus.
ABBIAMO PARLATO DEL Report…
ARTICOLO: Climate report, gli errori delle aziende
Il 78% delle maggiori aziende europee non è in grado di rendicontare adeguatamente i rischi ambientali e climatici. Le attuali pratiche di reporting aziendale potrebbero non essere all’altezza dei target previsti dall’European Green Deal e dell’obiettivo di neutralità climatica per il 2050. A sostenerlo è il report “Falling short? Why environmental and climate-related disclosures under the EU Non-Financial Reporting Directive must improve”, pubblicato il 19 maggio scorso dal Climate Disclosure Standard Board (Cdsb), che ha analizzato le informazioni ambientali e climatiche rendicontate nel 2019 delle 50 maggiori società europee quotate in borsa, con una capitalizzazione di mercato combinata di 4.300 miliardi di dollari. L’analisi si è basata sul reporting ambientale e climatico delle società, in linea con la Direttiva sulla rendicontazione non finanziaria dell’Ue, e sui progressi compiuti nell’attuazione delle raccomandazioni della Task Force on Climate-related Financial Disclosures.
ABBIAMO PARLATO del paper…
The EU’s Approach to Environmentally Sustainable Business (Oxford Business Law Blog)
ARTICOLO: Esg alla prova del primato dell’azionista
Le iniziative europee in corso per l’integrazione della sostenibilità ambientale nel decision making del business non bastano per spostare il focus dal primato assegnato agli azionisti. Per un cambio di priorità a favore degli stakeholder è invece necessario un intervento regolatorio più stringente e coerente con questo obiettivo, a fronte di un impianto normativo europeo che ha lasciato spazio alla massimizzazione del profitto di breve periodo per gli azionisti. È questa la riflessione lanciata sulle pagine dell’Oxford Business Law Blog da Andrew Johnston, professore di diritto societario e corporate governance all’Università di Sheffield, e da Beate Sjåfjell, professoressa di Legge all’Università di Oslo. I due studiosi hanno approcciato il tema in occasione della stesura di un capitolo del volume “Research Handbook on EU Environmental Law”. Secondo gli accademici è anche necessario cambiare l’attuale modello di corporate governance per chiarire le obbligazioni del board e dei consiglieri.
ABBIAMO PARLATO DELl’analisi…
Sustainable Investment Spotlight (Banca J. Safra Sarasin)
ARTICOLO: Sarasin analizza l’Esg di 181 Paesi
La “cultura dello sviluppo” è il fulcro su cui si incardina la valutazione Esg di un Paese. E diventa uno strumento centrale nelle valutazioni di investimento in bond sovrani. A oggi l’analisi delle obbligazioni governative mediata dal filtro Esg, ossia alla luce dei parametri ambientali, sociali e di governance, se in molti casi si carica di complessità legate, ad esempio, alle differenze tra l’investimento in strumenti societari e in quelli sovrani, non è sempre considerata nel merito creditizio assegnato dalle agenzie di rating che si basano su indicatori economici classici. Per superare l’ostacolo, la Banca J. Safra Sarasin, già nel 2002 ha prodotto uno dei primi rating Esg per i Paesi basato sulla matrice di sostenibilità JSS, che incorpora oltre 100 data point provenienti da fonti internazionali (come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, le Nazioni Unite, l’Ocse e la Central Intelligence Agency Usa). Alla luce della sua matrice di sostenibilità Sarasin ha analizzato, nel 2020, 181 Paesi e, di questi, in 50 si sono classificati come sostenibili, nel suo “Sustainable Investment Spotlight”.
ABBIAMO PARLATO dello studio…
Consumer support still strong as Earth Day celebrates its 50th birthday (Kearney)
ARTICOLO: L’Esg sullo scaffale (che non c’è)
Il 48% degli americani è oggi più preoccupato dell’ambiente di quanto lo fosse prima della pandemia Covid-19. E, afferma la società di consulenza Kearney in uno studio, tale preoccupazione può essere misurata in dollari. Il 55% degli intervistati ha dichiarato che è oggi più attento a comprare prodotti sostenibili. Eppure i produttori di beni di consumo e la grande distribuzione americana ancora non riescono a rispondere alle attese. La ricerca è stata svolta su 1.000 consumatori ed è stata lanciata due volte: il 6 marzo, agli albori della pandemia, e il 10 aprile, a emergenza ormai conclamata. Il risultato indica che non solo in questo lasso di tempo è leggermente aumentata la quota di coloro che “almeno occasionalmente” considerano gli impatti ambientali delle proprie scelte d’acquisto, ma anche che ben il 65% di questi ha modificato negli ultimi 12 mesi i propri acquisti sulla base di considerazioni ambientali.
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