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Esg, divario tra Europa e Nord America
L’analisi Esg degli investimenti sta diventando mainstream, ma questa tendenza convive con forti differenze geografiche tra Europa e Nord America. A scattare la fotografia del divario tra vecchio continente e Stati Uniti, con il Canada spesso a metà strada, è il rapporto «Responsible Investing: The Evolution of Ownership» della divisione asset management della Royal Bank of Canada, che oggi gestisce circa 400 miliardi di dollari.
Secondo il sondaggio che ha coinvolto oltre 430 tra investitori istituzionali e consulenti, i due terzi degli investitori usano i fattori Esg e il 25% aumenterà la loro applicazione da qui a un anno. Se questo è il dato medio, la situazione è diversificata a livello geografico: usano un approccio agli investimenti basato sugli Esg in maniera più o meno significativa l’84% degli europei e il 73% dei canadesi, contro il 49% degli operatori Usa. Entro un anno, pianifica di aumentare l’allocazione Esg dei propri asset ben il 49% degli investitori istituzionali europei: un dato lontano anni luce dal 14% dei canadesi e dal 25% degli statunitensi.
Allo stesso modo, in generale ben il 32% dei rispondenti non considera i fattori Esg come un elemento di mitigazione del rischio, mentre un altro 20% su questo punto è indeciso. E sul fatto che gli Esg generino o meno rendimento aggiuntivo rispetto al benchmark, il 46% non li considera fonte di un alpha positivo e un altro 30% non sa. Ma se si scende nel dettaglio, la situazione anche qui risulta più complessa: ben il 77% degli europei vede gli Esg come un fattore di mitigazione del rischio, accanto al 68% dei canadesi e contro il misero 28% degli statunitensi. Sull’alpha positivo, invece, gli operatori non hanno ancora una visione ben chiara: sono indecisi il 41% dei canadesi, il 24% degli statunitensi e il 21% degli europei.
Ma quali sono le motivazioni di chi non applica gli Esg? Nel 51% dei casi, dice la ricerca del Rbc, è la mancanza di un mandato chiaro di sostenibilità da parte del board, insieme alla carenza di una chiara affermazione di valore e alla preferenza per un’analisi soprattutto finanziaria. La cosa curiosa, però, è che lo stesso aspetto, rovesciato, è quello che invece spinge altri investitori a mettere ai primi posti proprio i fattori Esg: ossia una chiara affermazione dei valori, la preferenza per un’analisi multidimensionale degli investimenti e la necessità di allinearsi a un preciso mandato del board.
Nel concreto, condurre un’analisi Esg non è sempre facile. Ma se tutti gli operatori interpellati concordano sulla carenza di disclosure da parte delle aziende, le soluzioni indicate sono differenti: per la maggioranza degli europei sarebbe necessario un obbligo di legge, mentre per canadesi e statunitensi meglio affidarsi alle iniziative degli azionisti. Lo stesso vale per il tema della diversità di genere nei board. La considera importante il 68% degli europei, il 71% degli statunitensi e l’80% dei canadesi, ma per i primi la sua promozione spetta ai legislatori, mentre per gli investitori Usa meglio affidarsi alle forze del mercato. I canadesi sono divisi tra la posizione Usa e chi invece propende per iniziative degli shareholder.
È un esempio dell’approccio che gli investitori adottano nei confronti delle aziende per incidere sui loro comportamenti. Per quanto riguarda l’affrancamento dai combustibili fossili, per esempio, canadesi e statunitensi vedono l’engagement come più efficace rispetto al disinvestimento. Un terzo degli europei è d’accordo, mentre per un altro terzo le due pratiche sono alla pari. Il 48% degli europei vede le esclusioni applicabili in modo ampio, contro meno di un terzo di canadesi e statunitensi.
Veronica Ulivieri
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