Welfare aziendale ancora confuso e incompreso in Italia
C’è ancora molto da fare in termini di welfare aziendale in Italia. Secondo la ricerca realizzata da Asam (Associazione per gli Studi Aziendali e Manageriali dell’Università Cattolica di Milano), la situazione italiana delle aziende in tema di welfare aziendale è percepita per il 48% come “ostile” (così così, pessima) e per il restante 52% “amichevole” (discreta, buona e propositiva).
La ricerca è stata fatta intervistando le 231 imprese che hanno concorso al premio “La gestione del rischio nelle imprese italiane”, promosso da Assiteca, il più grande broker assicurativo italiano, quotato all’Aim di Milano. Il premio, appunto, per l’edizione 2015 (la sesta) ha avuto come tema il welfare in azienda.
In base al sondaggio, le principali motivazioni che hanno spinto le aziende ad attuare politiche di welfare aziendale sono “aumentare il benessere organizzativo” (per il 23% del campione), “migliorare la relazione tra azienda e dipendenti” (17%) e “fidelizzare i dipendenti” (14%). Altri fattori (sgravi fiscali, riduzione assenteismo, miglioramento della reputazione aziendale, ecc.) sono dispersi tra il 3% e il 7 per cento.
I beneficiari delle politiche di welfare aziendale risultano essere in grandissima maggioranza (86%) i dipendenti. Carenti, purtroppo, sia l’esistenza di un “documento di impegno” sul welfare con un programma dichiarato da parte di chi governa e gestisce questa leva manageriale (redatto solo dal 26% delle imprese rispondenti), sia un piano di comunicazione interna (presente solo per il 42% del campione).
Fra gli “oggetti” rilevanti del welfare, e dunque fra le aree agevolate, il 73% del consenso degli intervistati va nei confronti di un “pacchetto” composto da sanità, food, famiglia e assicurativo-bancario. Ancillari (tra il 5% e il 7%) risultano gli altri quattro oggetti: wellness, assistenza amministrativa, mobilità, tempo libero.
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