analisi su harvard business review
Clima e board, 8 sfide dell’azienda politica
Il ruolo dei board nella governance climatica cresce d’importanza: non è più solo, o quasi esclusivamente il management, a occuparsene. L’articolo “How Robust Is Your Climate Governance?” su Harvard Business Review (novembre-dicembre 2024) delinea otto elementi chiave per il coinvolgimento informato, ragionato e significativo del board nella definizione dell’agenda climatica. Gli autori hanno intervistato 20 membri che ricoprono posizioni di leadership nei cda di 22 società dell’S&P 500.
1) Il board deve conoscere il “profilo climatico” dell’azienda, delineato da come l’azienda influisce sul clima e sulle questioni climatiche, e viceversa. Un passaggio complesso, specialmente per le grandi aziende che devono tener conto di vari aspetti contemporaneamente (fornitura, trasporto, produzione, prodotti, proprietà, sistemi di distribuzione, pratiche con i clienti) per identificare le opportunità per ridurre le emissioni e i rischi. Il management è un supporto chiave al board nel tracciare il profilo climatico aziendale, e può istruire il cda non solo sulle emissioni e sui rischi legati al clima, ma anche in merito a opportunità e responsabilità derivanti dal cambiamento climatico e dai suoi effetti.
2) La supervisione del clima è un compito specifico nel ruolo del cda, e inizia con la decisione del board di inserire le questioni climatiche nel proprio “mandato”. Ciò è pressoché automatico nelle aziende in cui rischi, responsabilità e opportunità legate al clima sono significative dal punto di vista finanziario, strategico e della reputazione. Per alcune aziende, invece, lo sforzo verso la sostenibilità è meno ingente; il coinvolgimento del cda sarà dunque minore e guidato più da un senso di cittadinanza aziendale o da preoccupazioni di reputazione. Nonostante questa differenza, tutte le aziende hanno un ruolo nella transizione, e la supervisione del board su almeno alcune questioni climatiche è sempre più attesa da molti stakeholders, oltre ad essere requisito di giurisdizioni come la Csrd.
3) La struttura del board supporta un’efficace supervisione del clima, che dev’essere distribuita. È bene assegnare gli aspetti della supervisione climatica a diverse commissioni, e una commissione centrale deve coordinare le attività delle altre, nel «discutere dove risiedono i rischi climatici più pressanti, gli investimenti necessari per mitigarli, aiutare il management a dare priorità alle opportunità di riduzione delle emissioni, rivedere le ambizioni climatiche dell’azienda, valutare le priorità per gli stakeholder». Oltre a esaminare le proposte climatiche degli shareholder, alle attività di lobbying e advocacy o i contributi di beneficenza legati al clima.
4) Il cda ha le competenze necessarie per un’efficace supervisione del clima. A oggi, pochi membri dei cda hanno le competenze necessarie per comprendere rischi e strategie climatiche. Nonostante ciò, gli autori sono scettici sul nominare esperti climatici membri del cda, a meno che non si tratti di società con attività altamente sensibili al clima. L’analisi consiglia invece la nomina di «amministratori con un background aziendale che includa conoscenze ed esperienze in materia di clima», anche tramite formazione specifica insieme ad esperti.
5) Il board of directors è in grado di articolare il posizionamento e la strategia climatica dell’azienda, partendo da un confronto con il management. È necessario definire quanto l’azienda vuole essere attiva sulle questioni climatiche: vuole essere un leader, in linea con il settore, o solo conforme alla legge? La risposta a queste domande garantisce il “posizionamento” dell’azienda in materia di clima, funzionale poi a stabilire obiettivi, progettare i processi e i flussi informativi di cui il cda ha bisogno per esercitare una supervisione efficace.
6) Il board esamina i piani e gli obiettivi climatici del management (riduzione delle emissioni, utilizzo di energie rinnovabili, spese di ricerca e sviluppo) e risponde a domande quali «perché il management ritiene che l’obiettivo proposto sia appropriato e raggiungibile? Come verrà raggiunto? Quanto investimento è necessario? E chi ne è responsabile?» già familiari a qualsiasi altro tipo di obiettivo aziendale. L’articolo evidenzia che «ci si aspetta via via che gli amministratori applichino alla disclosure degli obiettivi climatici lo stesso livello di controllo che applicano alla disclosure degli obiettivi finanziari».
7) Il cda incorpora il clima nella valutazione della performance dei dirigenti, soprattutto se gli obiettivi climatici sono tra le principali priorità strategiche dell’azienda. Inoltre, collegare una parte della retribuzione agli obiettivi climatici offre ai board un modo per influenzare la performance climatica dell’azienda al di là del peso che gli investitori possono attribuire ad essa.
8) Il board riconosce le sfide della governance climatica, ovvero il compromesso (trade-off), componente intrinseca nel definire la priorità di qualsiasi obiettivo, e l’incertezza. Occorre riuscire a soppesare le decisioni su «come bilanciare gli investimenti nella decarbonizzazione, nell’avvio di azioni e nelle attività in corso, quanto investire in un progetto che renderebbe l’azienda più ecologica, ma con ritorni economici incerti» ed essere pronti a navigare tra regolamentazioni e requisiti, politiche energetiche e incentivi governativi.
«Spetta dunque al consiglio di amministrazione scegliere in che modo essere coinvolto – conclude l’articolo – per gli interessi a lungo termine della società e dei suoi azionisti, rispettando le responsabilità legali ed etiche dell’azienda in quanto corporate citizen». Ovvero, dell’azienda in quanto cittadino della polis (azienda politica).
Sofia Restani
azienda politicaboard of directorscdaclimate governancegovernance climaticaHarvard Business ReviewLynn S. PaineSuraj Srinivasan