ey pubblica la quarta edizione del Barometer

La Tcfd cresce, ma a bassa qualità

12 Ott 2022
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L'edizione 2022 del rapporto della società di consulenza registra un aumento tangibile di copertura della Tcfd. Ma l'indice qualitativo migliora poco. E, soprattutto, le informazioni climatiche non entrano nel bilancio finanziario: non si capisce il rischio climatico

La Tcfd guadagna terreno nel reporting delle aziende. Ma restano indietro la “qualità” del reporting e, soprattutto, la connessione con la rendicontazione finanziaria e la decarbonizzazione. È quanto emerge dal quarto rapporto annuale, Global Climate Risk Barometer, pubblicato da Ey che analizza lo stato delle disclosure climatiche aziendali.

Come anticipato dalla Rassegna stampa aumentata ESG/ 311 lo studio ha rilevato un aumento significativo dei reporting allineati al Tcfd da parte delle aziende nell’ultimo anno, analizzando le disclosure di oltre 1.500 società in 47 Paesi e 13 settori finanziari e non finanziari esposti al rischio climatico. La copertura Tcfd ha raggiunto l’84% nel 2021, in forte aumento rispetto al 70% dell’anno precedente.

BASSA QUALITÀ

Al contrario, scrive Ey, «mentre la copertura ha ottenuto un punteggio elevato, il punteggio medio per la qualità è stato solo del 44%, con un aumento minimo rispetto al 42% dello scorso anno. L’ampio divario tra copertura e qualità suggerisce che, sebbene un maggior numero di aziende stia facendo rapporto sul rischio climatico, esse non stanno effettivamente fornendo informazioni significative sulle sfide che devono affrontare».  È interessante notare, commenta sempre la società di revisione, che un elemento del quadro Tcfd che quest’anno ha mostrato un netto miglioramento nella qualità delle informazioni è la “strategia”, con un punteggio medio salito al 42% dal 38% del 2021. Questo risultato riflette probabilmente la consapevolezza da parte delle aziende del cambiamento del panorama politico e normativo in materia di informativa. Ad esempio, i primi due standard proposti dall’International Sustainability Standards Board (Issb) per l’informativa sulla sostenibilità presentano entrambi la “strategia” come una componente importante.

ANALISI DI SCENARIO

Quasi la metà (49%) delle aziende intervistate nel Barometro di quest’anno ha dichiarato di aver condotto analisi di scenario, con un aumento significativo rispetto al 41% del 2021. Gli scenari più comuni a cui si fa riferimento sono RCP 8,5 (Representative Concentration Pathway, un futuro ad alte emissioni) e RCP 2,6 (un futuro a bassissimo rischio), a indicare che le aziende stanno pianificando per quelli che sarebbero effettivamente gli scenari peggiori e migliori. Tre quarti (75%) delle aziende intervistate hanno effettuato un’analisi dei rischi, concentrandosi quasi equamente sui rischi fisici e di transizione. Quasi due terzi (62%) delle aziende hanno effettuato un’analisi delle opportunità, con “prodotti e servizi” elencati più frequentemente.

Le aziende del settore energetico sono più propense a divulgare le proprie strategie di decarbonizzazione rispetto a quelle di qualsiasi altro settore, a testimonianza del ruolo centrale dell’energia nella transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Più di quattro quinti delle aziende del settore energetico intervistate (81%) hanno divulgato una strategia specifica per l’azzeramento delle emissioni, un piano di transizione o una strategia di decarbonizzazione, rispetto a una media di tutti i settori del 61 per cento.

POCO SPAZIO NEI BILANCI

Se da un lato le aziende stanno migliorando la copertura e la quantità delle loro informazioni sul clima, dall’altro stanno facendo solo progressi limitati nell’integrazione delle loro informazioni sul clima con i loro bilanci. Questo dato fondamentale può contribuire a spiegare perché le informazioni non sembrano accelerare il processo di decarbonizzazione: la loro rilevanza finanziaria non è chiara. Il Barometro ha rilevato che meno di un terzo (29%) delle aziende intervistate fa riferimento a questioni legate al clima nei propri bilanci, sia come aspetti qualitativi che quantitativi.

Ci sono diverse ragioni, conclude Ey, per cui le aziende possono essere riluttanti a fare riferimento alle questioni legate al clima nei loro bilanci. In primo luogo, i team finanziari potrebbero non avere le conoscenze necessarie per capire dove si collocano i rischi climatici nel contesto dei bilanci. In secondo luogo, c’è una discrepanza di orizzonti temporali, poiché i bilanci si riferiscono a un orizzonte temporale relativamente breve, mentre il rischio climatico è rilevante per un periodo molto più lungo. Infine, l’incertezza e la variabilità degli scenari climatici rappresentano una sfida quando si tratta di includere questi scenari nei modelli finanziari.

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