McKinsey individua una “licenza sociale” nella ESG Identity
Un report di McKinsey, dal titolo “Does ESG really matter – and why?” , analizza le principali obiezioni sollevate oggi al modello Esg, e fornisce una serie di risposte, in termini di gestione delle esternalità, delle performance aziendali e delle metodologie di misurazione delle metriche Esg.
«Le principali obiezioni alle iniziative e ai target in campo Esg – si legge in una nota – sono le seguenti:
- Le iniziative in campo ESG non sono auspicabili perché rappresentano una distrazione. In quest’ottica, le iniziative Esg possono essere viste come una sorta di sideshow, qualcosa di utile per il brand ma non fondamentale per la strategia aziendale. Altri critici hanno definito gli sforzi in campo Esg come “greenwashing”, “purpose washing “o “woke washing”.
- Le iniziative in campo Esg non sono praticabili perché intrinsecamente troppo complesse. Per alcuni critici è troppo difficile trovare l’equilibrio necessario tra le diverse componenti dell’universo Esg così da suscitare l’interesse di più stakeholder.
- Le iniziative e i target Esg non sono misurabili, almeno non con modalità facilmente attuabili. Mentre le singole componenti E, S e G possono essere valutate, con i dati necessari e verificabili, alcuni critici sostengono che i punteggi Esg aggregati abbiano poco significato. La carenza è ulteriormente aggravata dalle differenze di ponderazione e metodologia tra i fornitori di rating e punteggi Esg. Inoltre, i principali investitori spesso utilizzano metodologie proprietarie che attingono a una serie di input (compresi i punteggi Esg) affinati nel corso degli anni.
- Anche quando sono misurabili, non vi è alcuna relazione significativa con la performance finanziaria. Le correlazioni positive di iniziative e target ESG con sovraperformance finanziarie possono essere spiegate da altri fattori (come ad esempio un contesto macroeconomico favorevole) e non necessariamente in base a un nesso causale».
Alla base di ciascuna delle quattro obiezioni in campo Esg, prosegue la nota di McKinsey, «vi è l’incapacità di tenere adeguatamente conto della licenza sociale, ovvero della percezione da parte degli stakeholder che un’azienda o un settore agisca in modo equo, appropriato e meritevole di fiducia. Ciò che alcuni critici trascurano è che le aziende possono sostenere il valore nel lungo termine proprio gestendo e affrontando le principali esternalità. Se infatti le aziende partono dal presupposto che lo scenario di base non include esternalità o l’erosione della licenza sociale dovuta alla loro mancata considerazione, le loro previsioni (e di fatto le loro strategie) potrebbero non essere affatto realizzabili». Di fatto, McKinsey individua una “licenza sociale” nel concetto di ESG Identity.
Di conseguenza, le principali risposte a tali obiezioni gravitano intorno a tre punti principali: esternalità, il successo iniziale di alcune organizzazioni e il miglioramento delle misurazioni Esg nel tempo. McKinsey spiega così i tre punti:
- «Crescono le esternalità, come le emissioni di gas serra di un’azienda, così come gli effetti sul mercato del lavoro e le conseguenze per la salute e la sicurezza dei fornitori, sempre più rilevanti in un modo interconnesso. E i regolatori ne stanno prendendo atto.
- Alcune società hanno ottenuto risultati notevoli, dimostrando che il successo in campo Esg è realmente possibile. Le aziende che incorporano una purpose nel proprio business model non solo mitigano i rischi, ma possono anche creare valore.
- Le metodologie di misurazione possono essere migliorate nel tempo: c’è infatti un trend di consolidamento dei framework di reportistica e disclosure ESG. Vi è anche una tendenza verso una regolamentazione più attiva, con requisiti sempre più granulari. Nonostante le differenze nella valutazione degli ESG, la spinta è verso una disclosure più accurata e solida, e non verso un minor numero di dati o una minore specificità».