Fast food, i big si impegnano Sbti. Ma il rischio è su scope 3
Un impegno triennale degli investitori globali con i giganti del fast food ha portato a progressi significativi nella definizione degli obiettivi climatici, ma ha sollevato preoccupazioni per gli investitori sulla gestione delle emissioni e dell’utilizzo dell’acqua nella catena di approvvigionamento. Questo è il messaggio che arriva da un nuovo rapporto della rete globale di investitori Fairr e dall’organizzazione per la sostenibilità Ceres.
Il progetto Global Investor Engagement on Meat Sourcing, guidato da una coalizione di investitori da 11.000 miliardi di dollari, si è concentrato su sei aziende leader nel settore dei fast-food con una capitalizzazione di mercato complessiva di oltre 281 miliardi di dollari: Chipotle Mexican Grill, Domino’s Pizza, McDonald’s, Restaurant Brands International (proprietaria di Burger King), Wendy’s Co. e Yum! Brands (proprietaria di Kfc, Pizza Hut e Taco Bell). La coalizione, che comprende oltre 90 investitori, ha esortato le aziende a ridurre il rischio delle loro catene di approvvigionamento di carne e latticini fissando obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni di gas serra, riducendo al contempo l’utilizzo dell’acqua e il suo impatto sulla qualità dell’acqua.
Il rapporto Global Investor Engagement on Meat Sourcing Progress Update 2022, rivela che tutte e sei le aziende di fast food hanno fissato pubblicamente, o si sono impegnate a fissare, obiettivi basati su dati scientifici approvati dall’iniziativa Science Based Targets (Sbti). Chipotle si è impegnata a ridurre le emissioni degli ambiti 1, 2 e 3 del 50% entro il 2030.
Il rapporto mostra anche che oltre il 90% delle emissioni di queste aziende proviene dalle emissioni scope 3, dove i fornitori di carne e prodotti lattiero-caseari sono un problema fondamentale e svolgono un ruolo significativo. Tuttavia, solo due delle sei aziende, Rbi e Yum!, hanno rivelato le emissioni totali derivanti dall’agricoltura animale. Entrambe le aziende hanno indicato i fornitori di carne e latticini come responsabili di oltre la metà (rispettivamente 57% e 51%) delle loro emissioni totali. Gli investitori avvertono che questa mancanza di trasparenza nella catena di approvvigionamento dell’agricoltura animale potrebbe compromettere gli sforzi dei marchi alimentari per affrontare il rischio climatico.
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