Pechino sarà costretto a sforzi assai maggiori
Perché la Cina batte il green bond Ue
Ha fatto, giustamente, molto rumore la prima emissione europea di green bond, che ha dato una dimostrazione di forza in termini di raccolta e, soprattutto, di capacità di sottoscrizione da parte del mercato. Negli stessi giorni, tuttavia, sono arrivati segnali dalla Cina che meritano una riflessione su quale area del pianeta sarà il vero driver economico-finanziario della transizione sostenibile.
LA POSIZIONE DELLA IEA
Alla fine di settembre, Pechino ha annunciato lo stop alla costruzione di centrali a carbone oltre i propri confini. Una mossa applaudita dalla International energy agency (Iea) che l’ha interpretata come un passagio convincente della strategia cinese annunciata a fine 2020 dal presidente Xi Jinping: arrivare a zero emissione nette entro il 2060. Questa lettura positiva ha accompagnato la pubblicazione del report “An Energy Sector Roadmap to Carbon Neutrality in China” (scarica il report). Nel report, la Iea presenta i numeri dello sforzo titanico che attende Pechino, e sottolinea però che il gigante orientale ha i mezzi e la convinzione per riuscirci. E invita a tenere d’occhio le decisioni che la Cina prenderà «nelle prossime settimane o mesi», per comprendere le forze che scenderanno in campo.
LE DIMENSIONI DELLO SFORZO
Bastino alcune indicazioni tratte dal report per avere un’idea dell’impresa.
«Oggi il carbone rappresenta oltre il 60% della produzione di elettricità cinese e la Cina è il secondo più grande consumatore di petrolio al mondo. […] Se l’attuale infrastruttura energetica ad alta intensità di emissioni in Cina continua a funzionare come oggi, la sua produzione di Co2 da qui al 2060 ammonterebbe a un terzo del budget globale di carbonio per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C. Questo, a parte i nuovi impianti che potrebbero essere costruiti per soddisfare la crescente domanda».
Per arrivare alla neutralità del carbonio prima del 2060 «la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, principalmente eolica e solare fotovoltaica, deve aumentare di sette volte tra il 2020 e il 2060, rappresentando quasi l’80% del mix energetico cinese entro quella data. Le emissioni industriali di Co2 devono diminuire di quasi il 95% entro il 2060, con il ruolo delle tecnologie innovative emergenti, come l’idrogeno e la cattura del carbonio, in forte crescita dopo il 2030».
L’ATTENZIONE DELLA FINANZA
La sfida cinese, dunque, quanto vale se paragonata ai 250 miliardi di green bond previsti dall’Europa? La situazione non è sfuggita agli investitori che hanno già i radar accesi oltre Grande muraglia. In un report diffuso in Italia la scorsa settimana, qualche indicazione la fornisce Anastasia Petraki, Head of Policy Research di Schroders. Innanzi tutto, l’analista chiarisce che, certo, «ci sono state anche critiche rispetto alla decisione cinese di concedersi 10 anni di più rispetto ad altre aree, come l’Ue, che mira a raggiungere l’obiettivo ‘Net Zero’ entro il 2050». Ma occorre fare bene attenzione su dove si trovi oggi la Cina e su quanto tempo si sia data per cambiare la situazione. «Mentre altre regioni come l’Ue hanno raggiunto il picco delle emissioni nel 1990, la Cina non l’ha ancora raggiunto e prevede di farlo nel 2030. Quando lo farà, il livello di emissioni sarà probabilmente doppio o triplo rispetto al picco dell’Ue (Regno Unito incluso). Ciò significa che la Cina dovrà gestire la transizione in metà del tempo rispetto all’Ue, coprendo un livello più che doppio».
Ecco, dunque, la prospettiva di una grande marcia forzata verso la neutralità climatica. Per la quale «dovremmo aspettarci da Pechino il cambiamento più radicale e interventista in termini di politiche ‘green’ e finanza sostenibile». Petraki riporta che «Boston Consulting Group stima che il costo della transizione sarà compreso tra 13.500 e 15.000 miliardi di dollari entro il 2050, circa il 2% del Pil cumulativo cinese nel periodo 2020-2050».
Ecco perché, conclude, «anche se l’Ue viene spesso considerata il leader della corsa verso il ‘Net Zero’, le azioni più radicali potrebbero arrivare dalla Cina. Pechino potrebbe diventare uno dei leader globali delle politiche sul cambiamento climatico nei prossimi decenni».
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